Resilienza. “Come, dopo il sisma, gli adulti possono tornare a sperare. E a dare serenità ai propri bambini.”
La dottoressa Cipolla introduce l’orizzonte di intervento nelle Marche dell’Unità di ricerca sulla resilienza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Non solo case, dopo un terremoto va ricostruita anche la fiducia e la speranza delle persone, per far sì che chi ha subito un trauma possa tornare a guardare al futuro con rinnovata energia e speranza. È in questa direzione che si adopera RiRes, l’Unità di ricerca sulla resilienza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, formata da un team di psicologi, psicoterapeuti ed educatori specializzati in contesti di interventi post cataclismatici. Dopo aver operato ad Haiti, in Nepal, a Gaza, in Mali, come in Abruzzo e Lombardia in seguito ai terremoti del 2009 e 2012, ora RiRes interverrà nelle Marche con corsi di formazione alla resilienza rivolti a chi è stato colpito dal sisma del 2016. Corsi e incontri tenuti col supporto di CVM – Comunità Volontari per il Mondo che all’intervento per il sostegno pro terremotati ha dedicato la campagna del 2016. “Tutore di resilienza” di RiRes nelle Marche è la dottoressa Alessandra Cipolla, Psicologa esperta sulle tematiche del trauma e della resilienza, cui chiediamo di spiegarci come opera RiRes.
Dottoressa Alessandra Cipolla, che cosa è la resilienza?
È la capacità umana di affrontare le avversità della vita e di uscirne vincitori. È un processo che consente di reagire ad un evento traumatico, riscoprendo e riattivando le proprie risorse interiori, così da tornare ad essere protagonisti e attori delle proprie emozioni e della propria vita. Da qui, la possibilità di tornare a guardare al futuro, con la fiducia e la voglia di ricostruire e di ricostruirsi. Per spiegare la resilienza, lo psicologo Cyrulnik utilizza la metafora dell’ostrica, che aggredita da un granello di sabbia reagisce modellando, con il suo inchiostro, una perla preziosa. Si tratta di una immagine molto efficace per spiegare la capacità di volgere in positivo il peso del trauma.
E perché si parla di resilienza in contesti di terremoto?
Perché l’evento sismico, per la sua natura improvvisa, inattesa, “extra-ordinaria” e fortemente distruttiva, mina le difese psichiche del soggetto, trasmettendo un sentimento di vulnerabilità e insicurezza non solo a livello fisico, ma anche a livello identitario. Viene abbattuta la fiducia nell’ambiente esterno, non più protettivo, e quindi la capacità di pensare a ricostruire il proprio futuro. Ci si sente di colpo bloccati nel presente, vulnerabili ed esposti alle avversità. Non si ha più la certezza in un mondo solido intorno a noi, perché si è visto tutto crollare. I nostri valori individuali e collettivi entrano in crisi. Cadono le consapevolezze di base. E’ un trauma che blocca la capacità di proiettarsi in avanti. Far fronte all’esperienza del terremoto, però, non si limita a contare le ferite e a valutarne la loro profondità. Far fronte all’esperienza del terremoto significa anche riscoprire e attivare le proprie risorse, ritornare ad essere attori delle proprie emozioni e della propria vita e scoprirsi capaci di affrontare l’apparentemente inaffrontabile.
In che modo opera il processo di resilienza, in questi casi?
Gli specialisti, i tutori di resilienza, lavorano con dei gruppi di ascolto e di condivisione. Quelli che, organizzati dal CVM, stanno partendo anche nelle zone delle Marche colpite dal sisma. Nei gruppi ci si ascolta a vicenda, in un clima di fiducia reciproca. È proprio nella positività delle relazioni che le persone ritrovano e riattivano le risorse, e tornano ad essere padroni di sé. In questo clima scatta la nuova forza che porta al ribaltamento di traiettoria. La vittima torna ad essere attore di sé stesso e della propria vita. Quella della resilienza è una forza capace di trasmettersi agli altri, in un circuito virtuoso che si irradia in tutta la comunità.
Come vengono coinvolti i bambini nel ribaltamento della fiducia?
I bambini sono i più esposti al trauma. Non hanno ancora sviluppato un sistema di pensiero capace di elaborarlo. In questa prospettiva è importante avere, per loro, come punti di riferimento figure fiduciose, che li sostengano nella crescita e li supportino nelle piccole e grandi difficoltà e che possano fornire loro protezione. Soggetti resilienti, padroni di sé, che infondono fiducia. Se un genitore è traumatizzato e chiuso nel pessimismo, il proprio bambino ne subirà, in maniera risonante, la negatività. Se invece si sente forte e ottimista, anche il bambino guadagnerà forza e serenità.
Ma non è un processo che coinvolge solo i genitori, vero?
No, infatti la resilienza abbraccia tutte le figure educative della rete sociale. Nei corsi organizzati con CVM per il progetto “Le lenticchie della speranza” coinvolgiamo docenti, educatori e dirigenti scolastici. Perché più sono le figure educative capaci di farsi carico del dolore e delle domande dei bambini, più questi vivranno circondati da un contesto positivo, capace di tranquillizzarli, sostenerli e rafforzarli, promuovendo in loro un processo di rinascita a fronte dei piccoli e grandi traumi a cui sono stati esposti.
a cura di Marco Benedettelli – CVM