L’Africa al tempo del COVID-19
E’ partita proprio dall’Africa, ed in particolare dal Primo Ministro Etiope Abiy Amhed l’invito ad una risposta coordinata e collettiva alla minaccia rappresentata dal COVID-19: “una minaccia esistenziale per le economie dei Paesi africani; così come il virus non conosce confini, anche le nostre risposte non dovrebbero conoscere confini”. L’appello di Abiy comprendeva una richiesta di 150 miliardi di dollari di supplementi di bilancio e di investimenti nel settore privato, nonché di aiuti per i paesi africani fortemente indebitati, e chiedeva una maggiore cooperazione con organizzazioni multilaterali come l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e i Centri africani per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC).
A metà marzo, Abiy ha riferito che “si era assicurato un sostegno in tutto il continente” per gli sforzi per combattere il coronavirus in Africa da parte di Jack Ma, il fondatore della popolare azienda cinese di e-commerce Alibaba. Ma, attraverso la Jack Ma Foundation, ha promesso “20.000 kit di test, 100.000 maschere e 1.000 tute protettive e schermi facciali per uso medico” a tutti i 54 Paesi africani e ha anche promesso una formazione clinica su Internet per migliorare la capacità dei sistemi sanitari africani di curare i pazienti del COVID-19. Da allora, Abiy ha assunto un ruolo di primo piano nella distribuzione di questi aiuti, instradando le consegne di soccorso attraverso l’Ethiopian Airlines ha consegnato i soccorsi a 41 Paesi.
L’Africa, con 81.882 casi e 2.715 decessi (17 Maggio), sembra essere, finora, relativamente risparmiata dalla pandemia di Covid-19. Ma l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) avverte che il continente deve prepararsi invece ad affrontare un’epidemia prolungata.
I Paesi più colpiti sono il Sud Africa, Egitto, Marocco ed Algeria. In totale il continente Africano ha solo l’1,6% dei casi di Covid-19 del mondo e i Paesi africani sono, nell’insieme, poco colpiti e la catastrofe sanitaria annunciata non c’è ancora stata.
Secondo l’OMS in più della metà dei Paesi subsahariani è in atto una trasmissione del Covid-19 di tipo comunitario e stanno andando probabilmente verso il picco. Il virus ha colpito di più le popolazioni urbane, mentre ha relativamente risparmiato quelle rurali, dove in Africa si segnalano solo casi sporadici.
La maggioranza dei casi africani di Covid-19 «sono concentrati nelle capitali e nelle grandi città. Le regioni più remote sono le meno colpite nella maggior parte dei Paesi. Ed è quindi lì che è possibile agire per proteggere le zone interne e soprattutto per assicurarsi che utilizzino questo momentum per prepararsi al meglio».
Nel frattempo il Continente non è in attesa passiva della catastrofe, ma si moltiplicano iniziative ed invenzioni per modificare le abitudini delle persone e rafforzare la prevenzione.
In Kenya un ragazzino di 11 anni ha inventato il “Tippy Tap” – un sistema rudimentale ma efficace di lavarsi le mani senza dover toccare la tanica dell’acqua.
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In Uganda i mototaxi hanno installato un paravento di plexiglas per evitare il contatto tra l’autista ed il passeggero mentre in Tanzania CVM ha utilizzato mototaxi per diffondere messaggi sulla prevenzione nei villaggi meno accessibili.
Ma l’innovazione che più fa discutere è l’iniziativa del Madagascar che ha prodotto il “Covid Organics” la via africana alla lotta contro il virus. E’ prodotto dall’Istituto malgascio di ricerche applicate (IMRA) fondato nel 1957 dal “genio” della medicina tradizionale Albert Rakoto Rastimamanga, di fama internazionale. Una sorta di tisana. Potente mix di erbe (artemisina e ravintsara) e oli essenziali che rinforza gli anticorpi, protegge contro i virus, la malaria e le malattie polmonari.
Va detto però che l’idea di ricorrere all’artemisina contro Sars-Cov-2 non è del tutto infondata. Nel 2005 alcuni scienziati cinesi avevano dimostrato che l’estratto alcolico di Artemisina Annua era in grado di uccidere in laboratorio il virus della Sars (simile a quello che scatena Covid). Non sono però mai state effettuate sperimentazioni su animali ed esseri umani. Sulla base di quello studio, gli scienziati del Max Planck Institute of Colloids stanno testando gli estratti di A.annua su SARS-CoV-2 in vitro.
Però fra i rischi di questa iniziativa, non appoggiata dall’OMS per mancanza di evidenza scientifica, c’è anche quello di creare delle resistenze ai trattamenti antimalarici. L’artemisina è il principale ingrediente delle terapie farmacologiche combinate che hanno contribuito a ridurre il numero di decessi per malaria da 1 milione a 400mila all’anno.
«Dipendiamo totalmente dall’Artemisinina per la malaria in ogni Paese del mondo, quindi siamo molto preoccupati per lo sviluppo della resistenza, specialmente in Africa, dove si verificano il 90 per cento delle morti per malaria nel mondo», ha dichiarato a Science Kevin Marsh dell’Università di Oxford.