“La buona scuola”: il contributo dello staff CVM ESCI
Comunità Volontari per il Mondo – CVM, quale ente formativo accreditato dal MIUR con decreto 177/2000, lavora da oltre vent’anni per la revisione dei curricoli scolastici in chiave interculturale insieme alla Ricerca Universitaria più aggiornata. Nel tempo ha attivato una Ricerca-Azione che congiunge l’Università alla scuola di base per la sperimentazione di percorsi didattici caratterizzati dalla revisione epistemologica delle discipline e da modalità di insegnamento interattive. Al momento la proposta è seguita da istituti scolastici delle Marche e di altre regioni italiane ( Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Lazio, Abruzzo, Sardegna). Nelle Marche CVM ha siglato protocolli di intesa con la regione Marche, l’USR, l’Università di Macerata e l’ISC di Petritoli quale scuola capofila di 32 istituzioni scolastiche marchigiane. CVM è anche capofila del Progetto EuropeAid/131141/C/ACT/Multi: “Critical review of the historical and social disciplines for a formal education suited to the global society” – Ref. DCI-NSAED/2012/280-225. Annualmente CVM organizza a Senigallia, alla presenza di duecento docenti, Seminari di Educazione Interculturale promuovendo riflessioni sulla revisione epistemologica delle discipline, laboratori di didattica operativa e workshop sulle “buone pratiche” inerenti alla revisione dei curricoli in linea con i veloci cambiamenti epocali e con l’esigenza di un Nuovo Umanesimo richiesto dalle Indicazioni Nazionali 2012.
Punto 1. Assumere tutti i docenti di cui la buona scuola ha bisogno
Concordiamo con la proposta relativa al piano di assunzioni e con la volontà espressa esplicitamente di creare le condizioni per il tempo pieno nella scuola primaria. Maggiore perplessità desta in noi, invece, l’ipotesi relativa alla possibilità di insegnamento di una materia affine a quella per cui l’insegnante è abilitato, per i rischi di perdita di qualità dell’apprendimento/insegnamento che ciò potrebbe comportare.
Punto 2. Le nuove opportunità per tutti i docenti: formazione e carriera nella buona scuola
Evidenziamo sia l’importanza data alla formazione degli insegnanti sia il riconoscimento della costruzione del pensiero critico quale condizione essenziale dell’educazione. Tuttavia il testo delinea una sorta di docente ricercatore considerato “innovatore naturale” in grado di auto formarsi con i colleghi: in realtà i cambiamenti epocali richiedono oggi la costruzione di nuove categorie della complessità, che possono essere attivate solo dall’alleanza tra la Ricerca Universitaria più avanzata e il mondo della scuola. La carriera per merito non considera la posizione dell’ allievo. Infatti il riconoscimento della presenza di docenti non bravi (definiti “peggiori”nel testo) inficia il principio democratico del diritto all’istruzione da garantire a tutti, per cui devono essere offerte a tutti le stesse opportunità. Gli articoli 3- 34 della Costituzione Italiana chiedono che tutti i docenti siano bravi, anzi bravissimi. Pertanto dissentiamo dal sistema previsto del c.d. 66% e dall’idea di meritocrazia che esso sottende.
Punto 3. La vera autonomia: valutazione, trasparenza, apertura, burocrazia zero
Concordiamo con la scelta di monitorare le scuole “per conoscere i punti di forza e di debolezza di ogni singolo istituto” nonché “il sistema educativo nella sua totalità”, ma dissentiamo rispetto alle modalità proposte nel documento, in base alle quali, in relazione ai dati raccolti, il Sistema Nazionale di Valutazione (i cui strumenti di analisi dovrebbero essere approntati dall’Invalsi, secondo la direttiva del ministro Giannini del 18/9/2014) potrà orientare il finanziamento per l’offerta formativa. Tale finanziamento sarà, infatti, in parte corrisposto in rapporto agli esiti del piano triennale di miglioramento messo in atto proprio a seguito del processo di valutazione, con il conseguente riconoscimento premiale per i dirigenti in relazione al livello di miglioramento conseguito dal proprio istituto. Riteniamo che i finanziamenti finalizzati al miglioramento delle scuole dovrebbero essere forniti prima dell’attuazione del piano triennale proprio per consentire a tutte le scuole – e non solo a quelle “benestanti” – di conseguire tale fine. Non si può migliorare se, di fatto, non si hanno le risorse necessarie. Non condividiamo la visione aziendalistica che, almeno in parte, è sottesa a questa impostazione: i premi-produttività non appartengono al mondo scolastico che, al posto delle logiche proprie della competitività e della premialità, dovrebbe adottare i metodi della cooperazione e del lavoro collettivo che da sempre hanno prodotto i risultati migliori.
Pensiamo che la scuola non debba essere un supermercato né il docente equiparato ad un prodotto: far passare il messaggio che i profili della professionalità dei docenti possano essere oggetto di scelta da parte dei singoli istituti o dei dirigenti contribuisce a svilire piuttosto che a valorizzare l’immagine del docente stesso.
In merito ai presidi-dirigenti rileviamo un passaggio del documento in cui si afferma che per questo ruolo “serve puntare sullo sviluppo di competenze professionali connesse alla promozione della didattica e della qualificazione dell’offerta formativa”(p. 69). Poi si sostiene che i presidi verranno reclutati con un nuovo sistema, ovvero attraverso il corso-concorso della Scuola Nazionale di Amministrazione perché “anche i presidi sono prima di tutto dirigenti” (p.70). Pensiamo sia preferibile rovesciare i termini, e cioè affermare che quelli che sono ormai da anni divenuti dirigenti siano però in primo luogo presidi. La specificità educativa di tale ruolo nel documento a volte viene riconosciuta, ma per essere poi contraddetta. Auspichiamo che i tratti peculiari di tale figura professionale siano svincolati dall’ambiguità e che vi sia una maggiore chiarezza rispetto alla sua funzione che nella scuola dovrebbe tornare ad essere prioritariamente educativa.
Riteniamo apprezzabile l’apertura delle scuole il pomeriggio come inizio di un percorso di dialogo con il territorio, fondato sul “rinnovamento dei tempi e degli spazi della scuola”: ma ci chiediamo, con quale copertura economica.
Nutriamo forti dubbi sulla possibilità che un docente impegnato nel pomeriggio in progetti con gli studenti in una prospettiva di scuola-aperta in collaborazione con le associazioni educative del territorio (come viene indicato a p. 76), riesca anche a correggere i compiti, preparare le lezioni, organizzare le verifiche scritte (e tanto altro), ovvero non si potrà oggettivamente espletare quel lavoro che, per i docenti di alcune discipline soprattutto, rappresenta un carico molto oneroso, particolarmente in rapporto a classi dai numeri talora scandalosamente iperbolici. Ci domandiamo inoltre come saranno gestite le procedure di accreditamento dei cosiddetti “laboratori del territorio” pubblici e privati, indicati come “nuovi spazi formativi a disposizione della scuola, ma non sotto la sua gestione diretta” (p. 77). Per questo, come per altri aspetti in cui la scuola si relaziona ad enti esterni (ad esempio le imprese), occorrono regole molto chiare, che si fondino sul rispetto reciproco dell’autonomia specifica dei soggetti coinvolti.
Pensiamo che si debba ridurre l’enfasi relativa alla necessità di portare a compimento il processo di digitalizzazione diffusa degli istituti scolastici segnalata quasi come conditio sine qua non per l’avvio di un cammino di reale cambiamento. Banda larga, wi-fi, dispositivi informatici saranno anche strumenti indispensabili nell’attuale contesto socio-culturale, ma occorre ridimensionare molto (come hanno già fatto altri paesi europei) le aspettative create dagli esiti potenzialmente positivi prodotti da una didattica dell’Education 2.0 che rivela invece molti nodi problematici soprattutto in riferimento alla sua ricaduta sull’apprendimento degli studenti.
In merito poi alla digitalizzazione dei servizi amministrativi, ben vengano la trasparenza e lo sgravio sul fronte burocratico di cui si parla, ma non necessariamente a prezzo di tagli del personale (gli assistenti amministrativi ad es.) il cui ridimensionamento numerico è presentato immancabilmente come risparmio di risorse da reinvestire nella scuola.
Punto 4. Ripensare ciò che si impara a scuola
La parte riguardante il rafforzamento degli insegnamenti di musica, storia dell’arte e educazione fisica risulta valida, ma la parte relativa alla nuova alfabetizzazione dev’essere modificata profondamente nei suoi tre segmenti: apprendimento delle lingue straniere, alfabetizzazione digitale e conoscenza dell’economia. Il prezioso apprendimento delle altre lingue non deve sovrapporsi al ruolo della lingua italiana nell’insegnamento, per cui il progetto del CLIL risulta fuorviante se si sottraggono ore al ragionamento critico in lingua madre proprio delle discipline umanistiche. L’enfasi sull’alfabetizzazione digitale va ricondotta nel campo dell’educazione all’uso critico degli strumenti tecnologici e dello sviluppo dell’alfabetizzazione nell’esperienza del mondo attraverso le discipline e le relazioni interpersonali vissute nella scuola. Infine la conoscenza dei principi e del funzionamento dell’economia non può essere ispirata acriticamente all’ortodossia del liberismo. Essa piuttosto va orientata al concetto di responsabilità sociale dell’agire economico e alle molteplici prospettive alternative finalizzate alla costruzione di un’economia di servizio all’umanità e di rispetto della natura. Il sistema economico vigente va conosciuto criticamente nei suoi meccanismi ma non preso a modello.
Punto 5 . Fondata sul lavoro
Siamo d’accordo con la scelta di rendere obbligatorio il percorso di alternanza scuola/lavoro unicamente negli Istituti Tecnici e Professionali, con le seguenti precisazioni:
che si consideri prioritario anche in questi ordini di scuola lo spazio dello studio gratuito, volto alla educazione di una mente critica e libera, e se ne pongano concretamente in essere le condizioni;
che l’esperienza di alternanza in tutte le sue fasi sia governata dalla Scuola.
Siamo in disaccordo con le dichiarazioni circa la necessità che orizzonte e metodi della scuola e dell’impresa coincidano: è evidente infatti che l’azienda produce oggetti a fini di profitto e l’educazione accompagna soggetti ad esprimersi al meglio come persone, come cittadini, come membri creativi di una comunità. Alla luce di questo, chiediamo di cancellare il progetto di un coinvolgimento attivo delle aziende nei percorsi scolastici e di una formazione congiunta scuola-impresa. Piuttosto, lo Stato deve pretendere dalla scuola che essa sia una comunità che riesce a elaborare un pensiero consapevole, maturo, finalmente non conformista, con gli strumenti che le sono propri: lo studio, il dialogo e la relazione, un’osservazione e un’esperienza del mondo, anche nelle sue strutture socioeconomiche e politiche, da una distanza critica irrinunciabile e con riflessione autonomamente gestita. Invece che affidare i giovani addirittura in anticipo ad un mercato che si propone come maestro mentre crea un mondo sempre più diseguale, bisogna riconoscere alla scuola nei fatti il ruolo principe di servizio formativo che anche la storia e la nostra Carta Costituzionale le attribuiscono.
Punto 6 Le risorse per la buona scuola pubbliche e private.
Dopo un ottimo incipit in cui si afferma che la scuola deve rappresentare una priorità per il Paese che in essa deve investire risorse ed energie e dopo aver giustamente evidenziato il legame tra scuola e società, riteniamo contradditorio affermare che l’investimento nella scuola non deve essere considerato solo una voce di spesa della PA, ma anzi la scuola deve attrarre a sé molte risorse private. Noi riteniamo che sia un’ammissione di perdita dell’importanza del welfare state a danno delle scuole periferiche e più povere. I servizi fondamentali vanno assicurati parimenti a tutti con un’ equa ripartizione delle tasse facendo leva sui grandi patrimoni. Ne deriva una scuola classificata secondo il contesto economico che la circonda e le potenzialità manageriali dei dirigenti. Piccolo paese con poche risorse, povera scuola. Inoltre l’entrata di risorse extrastatali provoca una maggior privatizzazione della scuola; per i privati l’interesse sarà conseguire profitto economico entrando nei Consigli di Istituto con la possibilità di legare gli allievi al ruolo di potenziali clienti. La scuola è pubblica e così deve restare, non si deve piegare alla logica del profitto. Affermare che le risorse pubbliche non saranno mai sufficienti per far fronte alle esigenze della scuola vuol dire che lo Stato rinuncia al compito di garantire il diritto all’istruzione di tutti i cittadini.
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Giovanna Cipollari
Coordinatrice di CVM- ESCI[1]
[1] CVM ( Comunità Volontari per il Mondo) ESCI ( Educazione alla Solidarietà Cooperazione Intercultura)
https://www.cvm.an.it/cosa-facciamo/in-italia/didattica/