Scuola di tutti: festa del cous cous o nuovi programmi scolastici?
“Troppi bambini rom in classe. È questo il motivo che nel primo giorno di scuola ha spinto molti genitori di Landiona, comune di 600 abitanti in provincia di Novara, a ritirare i propri figli dalla scuola elementare del paese e a trasferirli nell’istituto di Vicolungo”: queste sono le righe di cronaca con cui il giornale la Repubblica di mercoledì 11 settembre 2013 riporta un triste evento nella sezione dedicata al Piemonte.
Un sentimento razzista continua ad albergare nel cuore degli italiani, nonostante le numerose Circolari del MIUR sulla valorizzazione delle diversità e nonostante i continui appelli che Papa Francesco I invia in nome della costruzione di una società solidamente umana in cui l’altro non è l’estraneo, ma il fratello, lo specchio del mio stesso “io” perché il mio comportamento nei suoi confronti indica la misura della mia stessa umanità.
La questione tuttavia non può essere posta su un piano conflittuale o- ancor peggio- semplicistico di buoni e cattivi, di razzisti ed antirazzisti. Il problema va esaminato più a fondo e forse scopriremo che questi genitori italiani non hanno agito per un cattivo sentimento nei confronti dei Rom, quanto piuttosto su una preoccupazione per la formazione dei propri figli. La questione si sposta dunque ad un livello diverso: non sono i Rom sotto accusa ma è la scuola italiana che a volte – sotto la spinta di un vago sentimento di pietismo- enfatizza sull’accoglienza riducendola a folklore e non si attiva invece sulla dimensione culturale di un’autentica forma di inclusione dell’altro.
Il tempo dedicato alla festa finale del “cus-cus” o ai cibi e tradizioni interetniche risultano, nella maggioranza dei casi, spazi sottratti all’insegnamento delle discipline considerate strumenti privilegiati della formazione di quelle competenze richieste dall’Europa per poter poi un domani accedere a corsi scolastici sempre più avanzati e a proposte di mercato altamente sofisticate.
La riflessione dei genitori italiani non è affatto banale: il problema semmai va spostato sul processo di formazione ed educazione garantito dalla scuola. Purtroppo oggi in Italia si lavora su curricoli inadeguati sia per i nostri allievi italiani sia per i cosiddetti “diversi”, Rom o immigrati che siano. I saperi dei libri di testo sono spesso anacronistici e riportano gli esiti di una cultura datata e centrata su una forte identità nazionale, mentre oggi occorre collegare il microcosmo personale con il macrocosmo dell’umanità e affrontare saperi che, connessi ai problemi della condizione umana, interessano tutti, autoctoni, Rom ed immigrati.
Una nuova cultura deve rispondere al cambiamento epocale di una società diventata multietnica e questa garantirà ai genitori italiani la formazione di cui i loro figli necessitano. Le ore di scuola sono poche e non si possono non orientare tutte verso una rigorosità culturale in grado di reggere i tempi… se a scuola si lavora per un progetto educativo coerente e rigoroso, senza spazi vuoti lasciati a formule rigidamente identitarie, sicuramente si darà una risposta a tutti i genitori; autoctoni e non. La nuova finalità educativa mira a costruire una cittadinanza mondiale perché le nuove generazioni sono destinate tutte ad essere migranti sia perché lo spazio della loro esistenza si è ampliato grazie ad internet e ai voli intercontinentali, sia perché ormai tutte le culture sono in dialogo.
Se a scuola la festa del cus-cus sarà sostituita dallo studio da saperi scientificamente rigorosi, allora il timore dei genitori italiani di non dare ai loro figli il servizio adeguato ai loro bisogni svanirà. Su questi problemi sta lavorando CVM da anni per poter garantire una revisione dei curricoli scolastici in chiave interculturale che risponda alle nuove istanze di una società ormai multiculturale, multi religiosa e multietnica.
Attendo vostri pareri per costruire la scuola di tutti
Giovanna Cipollari,
Presidente CVM