Giornata mondiale del Rifugiato
Lo scorso 20 giugno si è celebrata la Giornata mondiale del Rifugiato, istituita nel 1951. I dati quantitativi sono troppo aridi per iniziare una riflessione su questo tema ma, nel marasma mediatico che imperversa, sono necessari per ridisegnare un quadro che riporti nella sua corretta dimensione quella che viene definita “invasione”.
L’Alto commissariato Onu per i rifugiati (UNHCR), ha reso noto che nel mondo il numero di sfollati a causa di guerre, conflitti o persecuzioni ha raggiunto la cifra di 60 milioni nel 2014; rispetto all’anno precedente il numero è aumentato di 8.3 milioni di persone.
Tra questi, 19 milioni sono rifugiati, 38 sfollati interni e un milione e 800.000 persone sono richiedenti asilo ancora in attesa di ricevere lo status. Oltre il 50% dei rifugiati sono bambini. Una delle cause principali per questa crescita esponenziale è sicuramente costituita dalla guerra, in corso da ormai quattro anni, in Siria. Nel paese ci sono quasi 7 milioni e mezzo di sfollati, mentre i rifugiati sono quattro milioni.
Allo stato attuale, significa che una persona al mondo su 122 è o un rifugiato, o uno sfollato o un richiedente asilo.
Un dato poco conosciuto, o poco diffuso, vede l’83% di queste persone nei Paesi del sud del Mondo e solo il 17% nei Paesi più ricchi.
A titolo esemplificativo, ma non esaustivo, nell’Africa sub-sahariana vi sono tre milioni di rifugiati fuggiti da paesi quali Sudan, Sud Sudan, Repubblica Centrafricana, Somalia, Eritrea. Dal dicembre 2013 il conflitto in Sud Sudan ha prodotto più di 550.000 rifugiati, la maggior parte dei quali è attualmente ospitata in Etiopia, Sudan, Kenya e Uganda.
Ai tre milioni di rifugiati sub-sahariani, l’Occidente ha offerto solo 15.000 posti per il reinsediamento. Si contano circa 4 milioni di rifugiati siriani: tre milioni dei quali sono riparati in Turchia e Libano, il resto in Giordania, Iraq ed Egitto.
Per i rifugiati che si trovano nei paesi summenzionati l’Europa ha offerto, per il reinsediamento, circa 90.000 posti, vale a dire il 2,2%. Dalla frontiera marittima meridionale europea sono arrivate, nel 2014, 219.000 persone, numero corrispondente a quello registrato dalla Turchia in uno dei mesi del 2014, quando più forte era l’offensiva dello Stato islamico.
I numeri offerti in questa breve disamina, permettono di far capire che la crisi globale dei rifugiati ci coinvolge in maniera marginale e che l’Italia e gli altri paesi dell’Unione europea potrebbero e dovrebbero condividere in termini più incisivi le responsabilità e le soluzioni.
Monsignor Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes, nella presentazione dell’ultimo Dossier ha evidenziato che, delle 170mila persone approdate in Italia nel 2014, solo 66mila sono presenti nelle strutture di prima e seconda accoglienza. Sulla base dei dati forniti dal rapporto della fondazione, l’Italia ospita oltre 76mila rifugiati, nel contempo non ha ancora concluso la procedura di asilo politico per 22mila richieste.
Altro aspetto che necessita di essere riportati nel giusto alveo riguarda i 30 euro al giorno, che non vengono dati ad ogni migrante, ma ai centri di prima accoglienza (C.A.R.A.) che si occupano dell’assistenza di base per i profughi (vitto, alloggio ed assistenza sanitaria). Alla persona richiedente asilo vengono dati 2,50 € giornalieri, compresi nei 30 euro, ed una scheda telefonica internazionale con 15 € di traffico per tutta la durata del soggiorno all’interno del CARA.
La permanenza in questi centri deve avere la durata di 20-25 giorni se non identificati, un massimo di 6 mesi per i migranti a cui è stato riconosciuto lo status di rifugiati (spesso però il termine dei 6 mesi viene prorogato, a causa di difficoltà burocratiche ed organizzative, non di certo per volontà dei rifugiati). Al termine dell’iter può essere riconosciuto lo status di rifugiato oppure una forma di protezione diversa: sussidiaria o per motivi umanitari. Oppure si può ricevere il diniego: se la protezione non viene riconosciuta, al termine dell’iter il richiedente asilo lascia il Cara con l’ordine di lasciare il territorio nazionale in pochi giorni, diventando così un migrante irregolare.
Partendo dal messaggio di papa Francesco per la Giornata Mondiale del Rifugiato 2015, “alla globalizzazione del fenomeno migratorio occorre rispondere con la globalizzazione della carità e della cooperazione, in modo da umanizzare le condizioni dei migranti. Nel medesimo tempo, occorre intensificare gli sforzi per creare le condizioni atte a garantire una progressiva diminuzione delle ragioni che spingono interi popoli a lasciare la loro terra natale a motivo di guerre e carestie, spesso l’una causa delle altre” … per riflettere oltre i numeri.
La differenza tra Nord e Sud del pianeta è aumentata in modo esponenziale: alla fine dell’Ottocento era di 2 a 1; nel 1995 ha registrato la quota di 30 a 1; all’inizio del 2000 era quasi vicina al rapporto di 70 a 1. Tutto questo vuol dire che 1 miliardo e 300 milioni di persone vivono con 1 dollaro al giorno e che circa 800 milioni soffrono la fame sistematicamente.
A fronte di questo scenario di diseguaglianza e sofferenza, si possono facilmente capire le ragioni che spingono un numero indefinibile di persone a migrare.
Tra le cause che spingono la via incerta della migrazione vi è anche il desiderio di libertà. Sono molti infatti i Paesi, soprattutto in Africa e America Latina, dove il potere è concentrato nelle mani di pochi, spesso di uno solo, che lo esrecita in modo autoritario e senza il riconoscimento dei diritti fondamentali di ogni individuo. Ma si può lasciare la propria terra anche per riuscire a dare concretezza ad un progetto di vita; per garantire alla propria famiglia una vita che possa definirsi tale e permettere ai giovani la garanzia di una cultura.
Lo “straniero” costituisce un “segno dei tempi” ma che il mondo occidentale, vivendolo come una minaccia della sua identità culturale o come un cataclisma nella sua vita abituale, non riconosce. In generale o lo respinge o lo confina ai margini della comunità. Solo accogliendo l’altro e favorendo l’incontro tra le culture è possibile costruire una visione del mondo più intensa, più interessante.
Concludiamo con le parole di Cotesta: “Nell’ospitare lo straniero ciascuno scopre di essere egli stesso ospitato. L’ospitalità così si configura come lo spazio dove si annulla la logica dell’appropriazione e del possesso e riluce lo splendore dell’amore che si fa dono del mondo e gratuità della vita per tutti gli uomini che sono disposti ad accoglierlo, al di là di ogni distinzione di razza e di ogni diversità di cultura.”