Dalla Desertificazione alla #GenerationRestoration
Siamo ormai più che abituati a sentir parlare di degrado ambientale, desertificazione, cambiamento climatico, e le questioni legate alla sostenibilità sono entrate a pieno titolo a far parte del dibattito globale. Tuttavia, forse sono rare le volte in cui ci soffermiamo a pensare a quanto il benessere della popolazione e dell’ambiente siano legati a doppio filo alle condizioni del suolo. Sempre più aree del Pianeta sono esposte a desertificazione, quale causa e al tempo stesso conseguenza del riscaldamento globale e delle attività umane. In particolare, l’Atlante globale della desertificazione, pubblicato nel 2018 dal Centro comune di ricerca della Commissione europea, stima che oltre il 75% del suolo globale è già in qualche modo degradato.
Ad oggi, circa il 46% della popolazione mondiale vive in zone aride e, sebbene siamo soliti pensare alla desertificazione come a un problema esclusivo dell’Africa, il rapporto speciale su cambiamenti climatici e suolo, pubblicato nel 2019 dal Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc), sfata questo mito: Africa, Medio Oriente ed Asia orientale e meridionale sono senza dubbio aree particolarmente vulnerabili, ma esistono territori, detti hotspot, che hanno assistito ad un notevole impoverimento di vegetazione andando a coprire circa il 9% delle terre aride globali. Tra queste si segnalano il Cile, la Valparaíso e O’Higgins, ma anche la Spagna, con un rischio di desertificazione che coinvolge addirittura il 74% del suo territorio e niente po’ po’ di meno che l’Italia, con il 59,2% del suo territorio considerato vulnerabile, con particolare riferimento a Sicilia, Molise e Basilicata (secondo i dati Ispra del 2011).
Ma come è possibile? Anche l’Italia?
Ebbene, nonostante il termine desertificazione ci porti spontaneamente a pensare alle immense distese sabbiose del Sahara, in realtà la definizione ufficiale è un po’ più ampia e fa riferimento al “degrado delle terre aride, semi-aride e sub-umide secche attribuibile a varie cause tra cui le variazioni climatiche e le attività umane.”
CAUSE E CONSEGUENZE DELLA DESERTIFICAZIONE
Desertificazione e degrado del suolo sono quindi fenomeni complessi che derivano da un lato da una gestione insostenibile del terreno, dall’altro dai fattori climatici, ma il minimo comune denominatore è sempre legato all’attività umana, che continua ad alterare l’equilibrio del suolo e degli ecosistemi. Ad esempio, sacrificare le foreste per far spazio a pascoli, allevamenti e colture intensive porta inevitabilmente all’aumento delle emissioni di gas serra, alla perdita di biodiversità e quindi alla diminuzione delle risorse disponibili, rendendo tra l’altro l’uomo e la natura più fragili e vulnerabili anche alle malattie.
La desertificazione quindi è contemporaneamente causa e conseguenza del riscaldamento globale. Causa perché con l’impoverirsi della vegetazione, le quantità di CO2 rilasciate dal suolo aumentano, facendo così aumentare anche il riscaldamento globale. Conseguenza perché la diminuzione delle piogge e l’aumento delle temperature rende il suolo meno umido e fertile, nonché più fragile di fronte agli squilibri metereologici.
LE STRATEGIE PER COMBATTERE LA DESERTIFICAZIONE E IL CAMBIAMENTO CLIMATICO
Tra le sfide per combattere la desertificazione e il cambiamento climatico troviamo quella della cosiddetta carbon neutrality, ovvero quella condizione per cui si realizza un equilibrio in cui le emissioni di gas serra climalteranti in atmosfera sono pari a quelle che vengono assorbite da foreste, suolo e oceani. Obiettivo per altro contenuto nell’Agenda 2030, nei confronti del quale si sono formalmente impegnati Unione europea, Nuova Zelanda, Cina, Regno Unito, Giappone, Corea del Sud a cui probabilmente si aggiungeranno gli Stati Uniti.
Da parte sua, l’Unione Africana ha invece in cantiere sin dal 2007 una grande muraglia verde, la Great Green Wall, ovvero un corridoio verde dal Senegal fino al Corno d’Africa che nel 2030, se tutto andrà per il verso giusto, riuscirà a catturare 250 milioni di tonnellate di CO2 dall’atmosfera e creare 10 milioni di posti di lavoro, dando una sferzata alla prosperità di una delle zone più povere del mondo.
Anche la Banca Mondiale esorta a scegliere un’agricoltura amica del clima, in cui l’aumento della produttività del suolo vada di pari passo con una sua gestione sostenibile, ad esempio attraverso pratiche di agroecologia, sistemi di irrigazione intelligenti e agricoltura conservativa che vadano a braccetto con interventi di contrasto alla povertà e lotta contro le disuguaglianze.
Nel 2020 giunge così alla sua naturale conclusione il Decennio Onu per i Deserti e la Lotta alla Desertificazione e se ne apre un altro, quello per il Ripristino degli Ecosistemi (link), lanciato in occasione della giornata mondiale dell’ambiente del 5 giugno 2021, assieme alla guida UNEP dedicata e alla campagna #GenerationRestoration.
Giada Zatelli