Etiopia, se la guerra allontana dalle scuole
Settembre è il mese del ritorno a scuola per i nostri ragazzi, che in queste settimane tornano dietro i banchi per iniziare un nuovo anno scolastico. Anche in Etiopia avviene lo stesso, dopo le festività per il nuovo anno che lì inizia l’11 settembre, le piogge si diradano, arriva la primavera, fiori gialli sbocciano ovunque e riaprono le scuole per milioni di ragazzi, che così ricominciano un nuovo anno di studi. O almeno dovrebbero. Il Ministero dell’Educazione ha pubblicato i dati delle iscrizioni scolastiche per l’anno 2023-2024: 2,7 milioni di ragazzi hanno iniziato la scuola. Il problema è che la previsione era per 6,2 milioni di studenti. E gli altri? Gli altri pagano il prezzo dell’instabilità politica nella Regione Amhara e in altre parti dell’Etiopia e rimangono a casa.
Il conflitto è anche questo, scuole chiuse e la rinuncia a un’opportunità importante per 3,5 milioni di ragazzi che quest’anno perderanno un anno di formazione e di futuro.
Ormai da due mesi proseguono ininterrotti gli scontri nella Regione Amhara tra le forze del Governo Federale e i ribelli FANO. Difficile stimare il costo in vite umane, distruzione e distorsione di un sistema economico che si concentra sullo scontro militare.
Grandi città come Gondar o Debre Markos passano ripetutamente di mano da una fazione all’altra e lo stesso avviene per il controllo delle strade e delle città minori, perpetuando una percezione di instabilità ed insicurezza. Sostenere apertamente una parte o l’altra diventa una scelta che può costare la vita al successivo cambio di mano nel controllo del territorio.
Anche con il nostro lavoro è sospeso, bloccato in attesa che si aprano spiragli di stabilità per riavviare i lavori, che tardano ad arrivare.
Nella comunità di Getzemani i ribelli FANO sono andati casa per casa alla ricerca di cose di valore da confiscare per finanziale l’acquisto di armi e munizioni ed hanno trovato il nostro magazzino con dentro 200 quintali di cemento e decine di rotoli di tubi che aspettano di essere utilizzati per completare i lavori dell’impianto idrico. La comunità si è opposta alla confisca di questi materiali e unita è riuscita a dissuadere i ribelli.
Ora si aspettano da noi che facciamo buon uso di questi materiali che loro hanno difeso con non pochi rischi, ma i muratori non sono riusciti a raggiungere l’area perché le strade sono ancora bloccate per gli scontri in atto.
Non ha avuto la stessa sorte il magazzino del progetto WASH UP a Debre Work che è stato invece saccheggiato dai ribelli durante il periodo di occupazione che hanno asportato, tubi, pompe, cemento ed altro materiale per circa 30.000 euro di valore, danneggiando anche una macchina, dopo aver fallito nel tentativo di avviarla e prenderla.
A Debre Markos e Fenote Selam i ragazzi di strada non hanno una casa in cui ripararsi durante gli scontri e quelli che avevano deciso di tornare a scuola con il supporto del nostro progetto STREAM non potranno farlo perché lì le scuole restano chiuse. Invece ad Injibara e Bahir Dar il conflitto non è arrivato e 40 ragazzi di strada torneranno tra i banchi con le divise, i quaderni ed il supporto del progetto.
Ora dobbiamo capire come continuare ad essere presenti nel teatro di una guerra che si prospetta duratura, cercando di operare in sicurezza, senza compromettere l’incolumità delle persone, ma senza spegnere la speranza di un futuro migliore che la nostra presenza, da anni, alimenta.
Di Attilio Ascani