Finché ogni donna non sarà libera
Perché è importante celebrare il 25 novembre, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne
“Il femminismo non riguarda il rafforzamento delle donne. Le donne sono già forti, si tratta di cambiare il modo in cui il mondo percepisce quella forza”.
Geena Dunne Anderson
“Non sarò libera finché ogni donna non sarà libera, anche se le sue catene sono molto diverse dalle mie.”
Audre Lorde
C’è chi, non sono pochi, odia le ricorrenze e le occasioni, come le giornate mondiali dedicate a qualche particolare fenomeno, motivando tale atteggiamento col fatto che di certe questioni bisognerebbe parlare tutto l’anno. Eppure, tali momenti, rappresentano occasioni importanti di riflessione in cui, alla routine quotidiana, si sostituiscono eventi, manifestazioni, mobilitazioni di vario tipo. Si tratta di occasioni per fare il punto e presentare un quadro con dati, analisi e proposte. La giornata mondiale contro la violenza alle donne, ad esempio, celebrata il 25 novembre, segna ogni anno un momento importante per discutere sul fenomeno della violenza di genere, in tutte le sue forme, fisica, psicologica, economica e sulla tragedia dei femminicidi. Il tema è purtroppo di estrema attualità perché, nonostante in molti Paesi esistano leggi che sanciscono l’uguaglianza e puntino a garantire le pari opportunità, troppo spesso la violenza e le disuguaglianze sono all’ordine del giorno. Secondo i dati di Eurostat nel 2023 i femminicidi in Italia sono stati 106, mentre nel 2022 ne erano stati registrati 126. Più dell’80% di questi crimini vengono commessi da familiari o ex compagni delle vittime. In Italia, da anni, esistono leggi per contrastare la violenza di genere ed è attivo un numero verde, 1522, contro la violenza e lo stalking. Per questo, tra le attiviste per i diritti delle donne, si parla spesso della necessità di un cambiamento culturale e dell’avvio di percorsi all’educazione affettiva anche nelle scuole, per contrastare i sintomi della cultura patriarcale e del maschilismo.
Altrove nel mondo, purtroppo non è così. Sono ancora dominanti sistemi patriarcali, coadiuvati persino dalla legge e in alcuni contesti le donne vengono cancellate dalla storia proprio attraverso la legge stessa. Si pensi, ad esempio, all’Afghanistan dei talebani, che attraverso una serie di decreti hanno escluso le bambine e le donne dalle scuole e dai posti di lavoro, arrivando a impedire loro persino di uscire di casa se non accompagnate da un familiare maschio. In Afghanistan, inoltre, ma anche in altri Paesi, sono ancora in vigore norme che consentono lo “ius corrigendi”, ovvero il diritto dell’uomo di “educare e correggere” i comportamenti di moglie e figli arrivando persino a usare la violenza. In Italia questo sistema è stato abolito solo nel 1956.
Un’altra forma di violenza diffusa nel mondo è quella legata al mancato riconoscimento del diritto al divorzio e alla custodia dei figli. Spesso, come accade in molti Paesi del Medio Oriente ad esempio, nonostante religiosamente il divorzio si possa chiedere e i figli vengano affidati alla madre almeno fino all’età della pubertà, le leggi e le consuetudini rendono impossibile ad una donna di chiedere il divorzio e spesso le impediscono di ottenere la custodia dei figli, anche se minorenni. Ciò costringe molte donne a restare in contesti ostili e subire in silenzio vessazioni e umiliazioni.
Da non sottovalutare è anche la violenza di tipo economico. A molte donne viene impedito di lavorare, proprio per restare succubi degli uomini della famiglia che, avendo la libertà e il potere economico, si sentono nel diritto di decidere e comandare i membri della loro famiglia. L’indipendenza economica rappresenta per le donne un importante strumento di emancipazione e autodeterminazione. Anche nei Paesi più avanzati e dove la legislazione punta sull’uguaglianza tra generi, la strada per un’effettiva parità è ancora lunga. Ancora oggi, infatti, a parità di mansioni le donne spesso percepiscono stipendi inferiori agli uomini. Nei Paesi del sud del mondo, dove invece non è sancita per legge l’uguaglianza dei diritti e dei doveri tra uomini e donne, anche la violenza economica rappresenta un ostacolo grande per le donne. Sono molte le bambine, le ragazze e le donne che lavorano senza percepire stipendi, o ricevendo paghe esigue, che non hanno diritto a un contratto, né a un giorno di riposo, e sulle cui spalle, inoltre, grava il peso dei lavori che sono costrette a fare nelle proprie case, non ultimo quello di procurarsi l’acqua. In Etiopia e Tanzania, Paesi in cui da quarantacinque anni opera il CVM – Comunità Volontari per il Mondo, migliaia di bambine e di donne sono impegnate come lavoratrici domestiche senza alcuna forma di tutela e di riconoscimento professionale. Oggi si stanno sempre più organizzando in associazioni e si iscrivono ai sindacati per rivendicare i propri diritti ed emergere dall’anonimato che le rende invisibili. CVM è al loro fianco in questo impegno da oltre cinque anni, organizzando corsi di formazione dedicati al tema dei loro diritti, alla contrattualistica, alla relazione coi propri datori di lavoro, alla gestione della casa e alla cura di bambini, anziani e persone con disabilità.
Ancor più subdola e diffusa c’è poi la violenza di genere usata come arma nel corso delle guerre e dei conflitti armati. In tutti i teatri di guerra, purtroppo, oltre a subire la violenza dei bombardamenti, degli spari e degli assedi, le donne e spesso anche i bambini e le bambine subiscono stupri e torture e proprio la particolare condizione in cui sono li rende particolarmente vulnerabili perché non possono denunciare e spesso non hanno nessuna assistenza medica e legale. Nelle situazioni di guerra, inoltre, le donne subiscono le violenze decise e combattute dagli uomini, come accaduto anche in Tigray, in Etiopia, dove il conflitto ha costretto la popolazione anche alla fame. Oggi decine di donne in Israele piangono per i propri figli uccisi o trattenuti in ostaggio, mentre migliaia di donne palestinesi continuano a seppellire i propri figli – in quasi due mesi ne sono stati uccisi circa 6mila – e si trovano costrette a scrivere sulle braccia dei figli il loro nome e i loro contatti nel caso in cui questi rimanessero uccisi e bisognasse identificarli. Le donne e i bambini, inoltre, sono oltre la metà dei profughi e degli sfollati di ogni guerra.
Il quadro è piuttosto desolante, ma non bisogna dimenticare l’attivismo delle donne e della società civile perché la situazione cambi. Basti pensare alla tenacia e al coraggio delle donne in Iran, che nonostante la brutale repressione continuano la loro lotta contro il regime teocratico che ne limita le libertà e impone il velo obbligatorio. Ci sono però anche altri esempi come quello delle donne islandesi che hanno protestato per la parità salariale indicendo un’interruzione del lavoro lo scorso 24 ottobre. In questo contesto non è difficile comprendere l’importanza della giornata contro la violenza alle donne. Fare il punto sulla situazione in Italia e nel mondo è un modo importante per capire in che direzione impegnarsi, sia a livello di iniziative legali, sia a livello di iniziative della società civile. Se si pensa che le donne in Italia hanno ottenuto il diritto al voto solo nel ’46 si capisce quanto siano stati importanti le mobilitazioni e l’attivismo in questo senso.
di Asmae Dachan