I pensieri di chi nel 2016 ha svolto l’anno da volontari con CVM | Per le strade del mondo, incontro al prossimo
Dalle origini del mondo
La dimensione del tempo è sempre stata diversa qui in Tanzania e mi rendo conto ancora una volta di quanto il suo scorrere abbia seguito un passo inconsueto. I primi mesi sono stati il tempo dell’attesa paziente, di un impegno costante a non dimenticare i miei obiettivi in mezzo alle esplosioni di significati e, spesso, di contraddizioni che scuotevano la base su cui pian piano costruivo. Imparando una lingua meravigliosa come lo Swahili ho avuto la possibilità di ascoltare il cuore di questo popolo, di vedersi aprire davanti a me delle porte maestose di conoscenza, misteriose come quelle di legno intarsiato che si incontrano ovunque nella vecchia Bagamoyo. Ho trovato dei valori dimenticati, la fiducia nei confronti dell’altro, la convivenza pacifica di chi appartiene a credi diversi e che non dà peso alle differenze. Ho rimesso in discussione molte cose, ho trovato dei nuovi motivi per sorridere. Mi sono nutrita di piccoli particolari, di immagini e racconti così lontani dall’immaginabile, di una diversità che é difficile da digerire quando non è solo altra ma è spesso soprattutto ingiusta. È qui che non sono stata più straniera ed è qui che a volte mi sembra di aver potuto assaporare l’essenza delle origini del mondo.
Clara Cossu, Tanzania – Bagamoyo
Molto più di “qualcosa”…
Questi mesi sono passati in fretta, avevo paura di annoiarmi, di avere tante ore per me e con me stessa ma non è stato così. È stato un periodo pieno di progetti, di sfide contro il tempo e contro gli inconvenienti del luogo. È vero che i giorni scorrono più lenti da queste parti ma noi ci troviamo a correre il doppio per compensare… questo aiuta a crescere, a ingegnarsi, a risolvere in fretta i problemi. Me ne sono andata da un comodo lavoro d’ufficio in una azienda di ingegneria perché volevo “costruire qualcosa di utile” e ciò che abbiamo fatto insieme allo staff quest’anno è molto di più di “qualcosa”, questo mi riempie il cuore e compensa quei buchi dati dalla lontananza dagli affetti e dalle comodità! Con Sarah, la segretaria di Basketo, un giorno parlavamo dei nostri punti di forza e di debolezza, per quel che mi riguarda credo di aver imparato a non gettare mai la spugna e lottare finché le cose non prendono la piega che dovrebbero, invece ho ancora paura di essere sola… sento che se non ho una squadra con me non posso andare da nessuna parte, ma la fortuna o il destino hanno voluto che incontrassi sempre persone con cui condividere le sfide del lavoro e confrontarsi e completarsi per trovare buone soluzioni.
Elena Paolazzi, Etiopia – Bonga
Più consapevole e responsabile
L’anno di servizio civile mi ha regalato numerose occasioni di confronto con altre persone, ma soprattutto con me stessa. I momenti trascorsi e il lavoro svolto hanno rappresentato una grande opportunità per mettermi in gioco, per conoscere le mie potenzialità ma anche le mie mancanze, e sono stati anche spunto per capire le mie aspettative e i progetti per il futuro. L’aspetto che mi è piaciuto di più è senza dubbio l’ambiente del CVM: è sereno e accogliente, questo perché sono le persone che vi lavorano a renderlo tale. Sul piano lavorativo credo di aver imparato molto, fra attività di segreteria, comunicazione e la promozione di iniziative di sensibilizzazione. L’attività che più intensamente ho svolto e che più mi sono piaciute sono i laboratori didattici. Promossi nelle scuole, erano volti a sensibilizzare gli studenti sui temi dello sviluppo, della cooperazione, dei flussi migratori, della globalizzazione. Grazie a questa esperienza posso dire di essere diventata più consapevole e corresponsabile di tutte le realtà di cui il mondo si compone.
Debora Nucci, Italia – Porto San Giorgio
La mia quotidianità capovolta
Se prima di partire mi avessero chiesto cosa mi sarei aspettato da questa esperienza, non sarei stato in grado di rispondere. Moltissime erano le paure e le incertezze che mi accompagnavano. La lingua, il lavoro, il tempo libero, erano tutte scatole vuote che, pian piano, ho provato a riempire nel migliore dei modi, creando così il bagaglio che oggi mi porto dietro. Ricordo molto bene il primo viaggio in macchina dall’aeroporto a Bagamoyo, dal finestrino vedevo sfrecciare quegli orizzonti mai visti prima, che ancora tutt’oggi mi vedo scorrere davanti agli occhi. Mi ci è voluto del tempo per interiorizzare una realtà così profondamente diversa, ma è quasi inspiegabile come poi tutto ciò sia divenuto la più comune e affascinante normalità.
Penso che il servizio civile sia proprio questo, prende le tue certezze e le trasforma in dubbi, ruba le tue paure per trasformarle in sfide, ribalta la tua quotidianità per restituirtene un’altra capovolta. Mai mi sarei aspettato di vivere tutto questo. Mai mi sarei aspettato di mettermi cosi tanto in gioco.
Fulvio Parodi, Tanzania – Bagamoyo
Le parole di un anno
Se dovessi dare una forma al mio periodo di servizio civile, mi servirei di alcune parole chiave. Comincerei dall’”intensità” dei momenti vissuti, delle persone incontrate e dei paesaggi che si sono aperti davanti ai miei occhi. Mi sono emozionata e commossa molto spesso, ma non nascondo che lo sconforto a volte mi ha portato a pensare di non farcela. Poi racconterei della “fatica” di adattarsi ad un nuovo Paese, una casa e un lavoro. Qui ho conosciuto i miei “limiti”, quelli di una persona vulnerabile, al contrario di tutte le volte che mi sono sentita immortale. Ringrazio i piccoli fallimenti che hanno cambiato le mie prospettive e mi hanno insegnato ad essere più “umile”. Tra le parole c’è anche la “consapevolezza”, acquisita giorno dopo giorno. La realtà è sempre molto più articolata delle aspettative: la mentalità delle comunità rurali, la burocrazia di un Paese africano. La “diversità” tra noi è enorme. Ciononostante, il risultato è un enorme “stimolo”, che ogni giorno mi ha dato nuove energie e riempito di “soddisfazione”.
Chiara Costamagna, Etiopia – Bonga
Donne lungo la strada, eroiche combattenti
In Tanzania basta prendere un daladala (l’autobus) e attraverso i finestrini potrai vedere molte donne lungo la strada che portano sulla testa grandi secchi colorati, con all’interno verdure fresche, pesce e frutta da portare a casa o da vendere. Le ho osservate per molto tempo, chiedendomi per ognuna: “cosa starà pensando ora questa donna? Starà tornando a casa?” Quindi immaginavo che la signora col secchio sulla testa fosse mamma e anche moglie e che, di ritorno a casa, invece di riposare dovesse badare a tutte le faccende da portare a termine, perché in Tanzania le donne si occupano di qualsiasi aspetto familiare, dall’economico all’educativo, ai lavori domestici. I loro volti sono marcati dal sacrificio e dal coraggio, sono delle combattenti, le mamme delle generazioni future tanzaniane. Non sono donne vulnerabili ma forze della natura disposte a sacrificare la propria vita per assicurare ai figli un pasto. L’immagine di queste donne lungo la strada rimarrà sempre impressa nella mia mente, un ricordo indelebile che porterò con me, me ne ricorderò in particolar modo nei momenti in cui penserò di non farcela, penserò a loro, a queste donne-coraggio e insegnanti di vita.
Luisanna Ramirez, Tanzania – Bagamoyo
A lume di candela
Scrivo a lume di candela, o meglio, a lume di “shama”. Da oltre 12 ore, qui ad Injibara, cittadina nel nord ovest dell’Etiopia è saltata la corrente. I ragazzini svolgono i compiti scolastici chini sui loro quaderni, anche loro a lume di candela. Injibara è situata a 2800 metri di altitudine, il clima è fresco e piovoso, altro che Africa! In Etiopia oltre il 30% della popolazione vive sotto la soglia di povertà ed il restante 70% non vive certo nel lusso. Gli abitanti di queste montagne riescono a percorrere distanze enormi a piedi nudi, caricando in testa fino a 50 litri d’acqua, questo bene prezioso che noi diamo per scontato. Ad Injibara ed in gran parte dell’Etiopia l’acqua non c’è, o meglio, non è distribuita adeguatamente. Non avere acqua e non avere corrente elettrica rende tutto più lento e difficile. I bambini dopo la scuola aiutano le famiglie a spaccare la legna per scaldarsi e per cucinare, a gestire i piccoli “souk” e a pascolare le pecore, spesso unica fonte di reddito. La vita bussa alle porte delle case di fango con forza, entra senza chiedere il permesso e pretende duro lavoro e pazienza. Quando vedo bambine di massimo cinque anni lavare a mano i panni e trasportare in testa enormi carichi di legna, ripenso ai versi di “Città vecchia” di Umberto Saba: “… io ritrovo, passando, l’infinito nell’umiltà.”
Laila Anton, Etiopia – Injibara