Il buon giorno si vede dalla notte | Alla scoperta dell’amharico
Come iniziare a sentirsi parte di una comunità? Parlando la sua stessa lingua. Già! Comincio quindi il corso di amharico. Il mio insegnante si chiama Yonas, ha 25 anni come me e parla fluentemente ben 4 lingue: inglese, francese, italiano (o, per meglio dire, spagnolo italianeggiante) e, chiaramente, amharico.
Scopro che l’alfabeto di questa lingua è sterminato, è un vero e proprio rebus. Ogni lettera infatti può dare origine ad almeno 7 suoni diversi, per lo più impronunciabili. Ma la scoperta che più mi fa riflettere viene dal mio insegnante. Spiegandomi l’uso di “Endemen aderk”, il nostro “buongiorno”, Yonas mi dice che in realtà il significato letterale di questa locuzione è qualcosa di simile a “hai dormito bene” e che ci si scambia come primo saluto per iniziare la giornata.
Molte lingue africane mostrano questo interessamento alla notte, ad un sonno pacifico, mentre per esempio l’italiano non si cura di questo. “Buongiorno” è solo “buongiorno”, a chi lo dice non importa come ha passato la notte precedente il suo interlocutore.
Un altro saluto molto comune è “Aman new”, “che la pace sia con te”, ed è bellissimo iniziare la giornata con questo augurio! Una delle risposte può essere “Allen!”, “noi siamo vivi”.
Yonas mi spiega che “Allen” è proprio al plurale perché ognuno di noi non è mai solo ma è sempre parte di una comunità. La lezione si conclude con “Laila, this is Africa!”.
Laila Anton
(Qui il primo e secondo racconto dall’Etiopia di Laila volontaria CVM)