Il lungo cammino della consapevolezza |La lotta dal basso per mitigare l’impatto della costruzione del porto di Bagamoyo
Fare una passeggiata in bicicletta verso Zinga significa percorrere una quindicina di chilometri di strada sterrata bruciata dal sole, lasciare alle spalle le rovine di Kaole e proseguire lungo, il mare incontrando, solo dopo qualche chilometro di solitudine, poche abitazioni e capanne sparse che si affacciano lungo la strada, fino a raggiungere le stradine popolate dei sotto-villaggi di Pande e Mlingotini. La lunga pedalata conduce alle spiagge deserte e tranquille di questo tratto di costa che é senz’altro il piú bello e incontaminato della zona. L’acqua della laguna é piú fresca e pulita, dopo qualche bracciata dalla riva diventa cristallina, solo piccole imbarcazioni di pescatori scorrono silenziose e la natura sembra proteggersi maggiormente dall’invadenza dei rifiuti urbani. Il paesaggio di questi luoghi é molto autentico, ma anche ben conservato. Il villaggio di Mlingotini è stato trasformato in un centro eco-turistico da un progetto recente, ma ancora fatica a guadagnare il suo spazio in un panorama turistico sonnecchiante, poco organizzato, danneggiato da gravi disagi ambientali e da evidenti mancanze nella tutela della costa.
L’apparente tranquillità di questi villaggi, la ripetitiva vita semplice delle comunità che li abitano non fa trapelare nessun senso di attesa degli ingenti cambiamenti che proprio per questi luoghi sono programmati da tempo, il cui unico segno evidente sono dei numeri scritti in bianco su ciascuna casa e capanna presente nell’area. Sono le abitazioni, i negozietti, le botteghe, i pollai espropriati che verranno rasi al suolo per fare posto all’immensa area in cui sorgerá il nuovo porto di Bagamoyo.
Dal 2013 infatti é stato annunciato un accordo con il governo cinese e quello omanita per la costruzione di un’area portuale di circa 800 ettari di estensione accompagnata da altri 1700 ettari riservati alle infrastrutture e al parco industriale. In trent’anni si prevede la realizzazione del piú grande porto dell’Africa Orientale che accoglierá venti milioni di cargo all’anno già dalla prima fase del progetto.
La compensazione per l’espropriazione dei terreni è avvenuta in modo veloce e il governo ha messo a disposizione un’area da destinare ai nuovi insediamenti che ancora oggi è però disabitata. Da una chiacchierata con le autorità di Ward emerge come la popolazione espropriata non abbia esitato all’idea di ricevere delle somme cospicue per lasciare le proprie case, del denaro facile gestito, come spesso accade, dai soli uomini. È stato speso per comprare dei nuovi terreni nei Ward più lontani, arretrati e dunque economici, come Kibindu o Mbwewe, oppure per comprare una vettura, da cui è derivato un aumento esponenziale delle macchine che ora sfrecciano sull’unica strada asfaltata che conduce a Dar es Salaam. Ma in tanti hanno semplicemente usato il ricavato per scopi piú futili, come un matrimonio con una terza moglie. L’ufficiale di Ward di Zinga, una donna, me lo riferisce con un sorriso amareggiato. Nella stessa area non é stato previsto uno spazio sufficiente per le coltivazioni che prima si estendevano liberamente accanto alle case, alle attivitá e ai modesti allevamenti.
All’ora di pranzo sulla spiaggia di Mlingotini è ancora possibile vedere i pescatori che ritornano con i loro bottini, li dispongono fieri sulla sabbia davanti ad una coloratissima platea di donne elegantemente sedute su dei secchi di plastica. Lucidissime seppie, triglie e pesci di ogni sorta che vengono venduti al migliore offerente, con una ritualità genuina e paziente che è inserita negli ingranaggi sottili di vita societaria e di economia di sussistenza di queste comunità. Un pescatore mi mostra il confine tra l’area in cui sorgerá il porto e il restante pezzo di oasi che verrà risparmiata. Mi confessa che non potrà più pescare come adesso, dovrà spingersi molto più a largo, in acque alte dove le loro imbarcazioni modeste finora non si sono mai recate, ma per questo utilizzerá una barca robusta che il governo ha promesso di mettere a disposizione della comunità di pescatori. Mi rassicura che il tratto di costa in cui siamo rimarrà incontaminato, ma anche lui sa bene che quel confine non é a pochi passi da noi, la distanza di una passeggiata sulla riva che continua da quell’altra parte dove manca tuttoggi qualunque segnale di cambiamento, che rimane cosí pacata da non riuscire per il momento a farci disegnare con la fantasia il colosso di cemento che la fará scomparire.
La distruzione di manghi e mangrovie appena iniziata non é purtroppo sufficiente a dare un’immagine chiara di cosa significherá inghiottire questo pezzo di costa, né le giá inquinate acque e spiagge del distretto possono essere testimoni rilevanti del degrado ambientale in cui riversa il territorio. La sensazione di una monotona e tranquilla ripetizione dei giorni in questi luoghi attesta l’assenza di un piano strategico generale per mitigare sia le conseguenze ambientali che quelle sociali ed economiche che tale costruzione avrá sui soggetti piú vulnerabili, in particolare le donne e i giovani. La presenza di un alto numero di lavoratori temporanei prima, l’afflusso incontrollato di investitori dovuto agli sviluppi commerciali del porto poi, sono fattori che si scontrano con l’assenza di tutele dei loro diritti. Danno luogo a dinamiche che incentivano la prostituzione, l’aumento della diffusione dell’HIV – che nella regione costiera raggiunge giá un tasso disarmante – e provocano una maggiore marginalizzazione di tali gruppi vulnerabili, esclusi dal circuito di crescita economica in una zona caratterizzata da bassi redditi e povertá pervasiva.
È per questo motivo che la crescita di consapevolezza diventa il punto di partenza. Essa insieme al potenziamento delle capacità e delle competenze delle persone vulnerabili diventa necessaria per garantire loro l’opportunità di gestire i cambiamenti a proprio vantaggio e combattere parallelamente per i propri diritti, per scongiurare la probabilitá di un conflitto futuro sull’uso delle risorse, per diminuire i rischi per la salute causati dall’inquinamento in un territorio che in un mondo ideale potrebbe godere dei proventi del turismo eco-sostenibile.
È questa la sfida che il CVM affronta in tandem con le nove associazioni della unione Mwakba che sostengono i gruppi vulnerabili e che includono sempre di piú nelle loro agende delle iniziative ambientali per sensibilizzare la popolazione del distretto di Bagamoyo a trasformare le bellezze naturali in ricchezza da conservare e valorizzare in un’ottica comunitaria che si nutre di nuove speranze verso uno sviluppo futuro piú equo di cui poter essere protagonisti.
Clara Cossu