La cooperazione a braccetto con la ricerca: la testimonianza dell’antropologa Valentina Acquafredda
Lo scorso giugno vi abbiamo parlato dello studio antropologico che si sarebbe affiancato al nostro progetto Wash Up in Etiopia grazie al dottorato di ricerca intrapreso dalla nostra ex civilista ed antropologa Valentina Acquafredda (leggi l’articolo dedicato).
Oggi Valentina ci racconta la sua esperienza: una diretta testimonianza dei suoi primi mesi trascorsi sul campo etiope, tra interviste ed incontri volti ad indagare gli aspetti cruciali di una gestione sostenibile delle risorse naturali, a supporto del nostro intervento e delle stesse comunità locali.
«Se qualcuno tempo fa mi avesse detto che avrei condotto una ricerca di antropologia applicata, non ci avrei creduto. Ma dal novembre 2019 è una realtà, grazie al dottorato in Global Studies dell’Università di Urbino. Il Covid ha rallentato la tabella di marcia e cambiato il mio piano didattico, ma non ha fatto che aumentare la mia voglia di partire per l’esperienza sul campo etiope. Ha significato tornare a collaborare con CVM, realtà che conosco dal 2017 per via del servizio civile, ma in un’altra veste, la mia veste, quella di antropologa culturale.
E da febbraio mi trovo a Debre Work, seguendo le attività del progetto Wash Up nella regione Amhara, cogliendo ogni occasione proficua per condurre interviste e focus group con le comunità e le istituzioni a livello di Zona [1], Woreda [2] e Kebele [3] per conoscere la loro percezione del cambiamento climatico. Questo si declina con caratteristiche proprie nel qui e ora delle Woreda di una Zona con un alto tasso di erosione del suolo, una deforestazione massiccia avvenuta negli scorsi decenni e una trasformazione radicale dell’ambiente circostante, in cui di recente si sta cercando di invertire la rotta. CVM vi sta partecipando attivamente, mettendosi nel solco delle iniziative istituzionali, potenziandole e rendendole ancora più capillari prestando particolare attenzione all’aspetto di genere, con la formazione comunitaria alla resilienza e l’istituzione di nursery di specie locali, mettendo insieme in un contesto di bassissima tecnologia, i centri di ricerca e il sudore e la fatica nei campi.
L’obiettivo della mia ricerca antropologica è osservare le trasformazioni che stanno interessando l’akababi – “ambiente” in Amarico -, le strategie comunitarie e personali messe in atto per affrontare la riduzione della fertilità del suolo, il regime delle piogge in trasformazione, le sfide della mera sopravvivenza e il bisogno di crescita economica.
In queste prime settimane nella Zona dell’East Gojam, gli interlocutori di tali preziosi incontri sono stati gli attori delle attività del CVM, dei trainings in CLTS [4] e soil conservation, i membri di una delle cooperative istituite, un Comitato dell’acqua, gli esperti e i leader dell’Agriculture Office a tutti i livelli.
La mia presenza qui rappresenta un prendersi tempo, è una riflessione in itinere, parallela all’attività del progetto che si concede la bellezza e la ricchezza, nel frenetico quotidiano lavoro della cooperazione, di fare domande e dialogare con i beneficiari del progetto, troppo spesso anonimi numeri e volti in foto random o vite le cui storie sono relegate semplicemente ad un prima e un dopo la realizzazione di un intervento. Condurre una ricerca antropologica nell’ambito di un progetto di cooperazione internazionale significa dare spessore alle loro vite e sforzi quotidiani, considerando che inizialmente sono la Woreda, la Kebele o i loro rappresentanti a parlare per loro, dall’assessment del progetto fino a quando non è richiesto il loro impegno per partecipare alla costruzione di un’opera idrica, al biogas o a un training.
Dunque, il mix di osservazione e partecipazione che caratterizza la ricerca etnografica consente di raccontare la complessità della cooperazione in sé, fatta di negoziazioni e sforzi comuni, e di cogliere in maniera olistica le posizioni e le azioni dei diversi attori coinvolti, tutti consapevoli e chiamati ad affrontare la sfida più grande del nostro tempo ad ogni latitudine: il cambiamento climatico.»
[1] Le zone etiopi rappresentano il secondo livello di suddivisione amministrativa dell’Etiopia dopo le Regioni.
[2] Le woreda sono la suddivisione territoriale di terzo livello dell’Etiopia, dopo le regioni e le zone.
[3] La kebelè è la più piccola unità amministrativa in Etiopia, equiparabile ad un quartiere, frazione o piccola località abitata in cui risiede un gruppo di famiglie.
[4] Community-Led Total Sanitation: metodologia innovativa per mobilitare le comunità ad eliminare la pratica della defecazione a cielo aperto, adottando misure igienico-sanitarie che garantiscano la salute e il benessere collettivo.