La grande siccità etiope vista da Addis Ababa, e gli interventi di Cvm nelle woreda della carestia
Addis Ababa – Dieci milioni e mezzo sono all’incirca le persone colpite dalla carestia che in questi mesi si è abbattuta nel sud est e sud ovest dell’Etiopia, così come a macchia di leopardo in altre woreda del paese. Due milioni di persone sono totalmente senz’acqua, altri due presentano livelli acuti di malnutrizione e quasi un milione sono gli sfollati che cercano un luogo migliore dove vivere. Le vittime che necessitano di cure mediche d’emergenza sono quasi quattro milioni, mentre due milioni hanno bisogno di supporto in agricoltura, soprattutto riguardo la distribuzione di sementi e la severa denutrizione del bestiame.
E mentre cresce la preoccupazione mondiale, ad Addis Ababa la carestia è percepita in sordina e non se ne avverte l’emergenza. Qui le notizie corrono in fretta, ma le comunicazioni sono molto diverse dal modello europeo. La corrente salta spesso e l’accesso a internet è faticoso. Ma è difficile trovare un etiope senza smartphone; applicazioni come Whatsapp e Facebook sono molto diffuse, ma la connessione non è sfruttata per accedere a giornali e notizie. Inoltre, lungo le strade principali, dove si sviluppa la maggior parte del commercio, non si trovano edicole o chioschi. La radio trasmette solo musica che si può ascoltare ovunque, così come le ore del giorno sono scandite dalle preghiere che si avvertono negli altoparlanti, posti in quasi tutta Addis Abeba.
Lontano dalla capitale, Cvm è presente in alcune delle zone colpite dalla carestia. In tre Woreda dell’East Gojjam, Enebsie Sar Midir, Enarj Enauya e Shebel Berenta, si lavora per proteggere i soggetti più a rischio: i bambini, gli orfani e le donne. Proprio queste ultime, solitamente dedite alle faccende domestiche, al bestiame e alla preparazione di cibi, in assenza totale di acqua si trovano costrette a lunghi spostamenti, che spesso risultano in vere e proprie migrazioni. Recentemente, è in corso la stesura di una nuova proposta progettuale il cui obiettivo è proprio quello di contenere l’abbondono delle terre, andando a creare indirettamente condizioni migliori di vita e soluzioni lavorative nel luogo di origine.
Le principali cause della siccità sono dovute alle mancate piogge primaverili, chiamate belg, tipiche del periodo febbraio-aprile, seguite da una quasi totale assenza del kiremt, ovvero le forti precipitazioni della ‘stagione delle piogge’ da giugno a settembre. Dalla siccità è risultata in primis la mancanza di cibo e di acqua potabile e quindi il rischio elevato di focolai di malattie, diffusi decessi negli allevamenti che non trovano più pascolo, limitati input agricoli per il prossimo anno. L’aggravato degrado del suolo e la conseguente drastica riduzione di infiltrazione dell’acqua stanno causando inondazioni frequenti, così come, indirettamente, la cosiddetta “migrazione ambientale”. All’emergenza ha contribuito El Niño, un fenomeno climatico che causa un considerevole aumento della temperatura delle acque equatoriali dell’Oceano Pacifico.
I responsabili per gli aiuti umanitari hanno calcolato che le risorse messe sino ad ora a disposizione dall’esecutivo etiope ammontano a 200 milioni di dollari, ma questa cifra è appena un settimo dell’effettiva esigenza. Le autorità etiopi hanno lanciato un appello alla comunità internazionale affinché si possano raggiungere almeno le popolazioni a rischio immediato.
Chiara Costamagna