Le macerie di Pescara del Tronto. Dove tornare a vivere sembra impossibile.
Un uomo guarda verso la distesa di macerie di Pescara del Tronto, oltre l’avvallamento che si apre sotto la strada. “Quella era la mia casa, vedete?”. E indica un caseggiato imploso. Le lamiere di una lavatrice strabordano in una bolla verso l’esterno, schiacciate dalla morsa del tetto piombato giù. “Mi sembra che il paese stia ancora crollando, che le macerie stiano sprofondando verso il basso”. L’uomo si chiama Domenico Pala, è l’ex sindaco di Arquata del Tronto. La notte del terremoto lui e il figlio hanno salvato la vita a 15 persone. “Conoscevano le vie e chi ci abitava, a uno a uno. Sapevano muoversi con velocità e così sono riusciti a estrarne tanti dalle macerie”, ci spiegano gli uomini della Protezione civile di Fermo che ci stanno accompagnando.
L’odore dei calcinacci frantumati è ovunque nel silenzio di Pescara del Tronto. Il paese è ridotto a una poltiglia. I grappoli di case che una volta disegnavano il profilo frastagliato di questo antico borgo sulla Salaria, oggi sono ridotti a polvere dissolta. Altri edifici, i pochi ancora in piedi, sembrano presi a morsi da gigantesche bocche che hanno strappato via porzioni di murature. Tale è la devastazione, che la ricostruzione di Pescara del Tronto appare inimmaginabile. Non si riesce nemmeno a prevedere chissà dove e chissà quando tutte quelle macerie potranno essere rimosse.
“Il ricordo peggiore del terremoto è il rumore. I crolli, boati, il frangersi delle mura” racconta Sante Corradetti, volontario delle Protezione civile, 32 anni, oggi sfollato a San Benedetto. Sante è della frazione di Colle, ed è da sempre attivo per il suo territorio nell’organizzazione di feste, attività socio culturali e turistiche. La notte del 24 agosto si è ritrovato in prima linea, nei soccorsi. “In questa casa sono morte una madre con la figlia – racconta, fra le strade spaccate dalle crepe – in questa invece tantissime persone”. A Pescara del Tronto, la sera del 24 agosto, hanno perso la vita 49 uomini e donne. “E poi c’è stata la scossa del 30 ottobre, che ha definitivamente distrutto tutto. E si è portata via anche quelle speranze di ricostruzione che noi tutti avevamo con forza coltivato. Fino a quel giorno io e i miei amici siamo rimasti nella tendopoli del campo sportivo. Poi siamo dovuti sfollare”.
A presiedere le porte di Arquata del Tronto ci sono funzionari della Protezione civile, dell’Esercito, dei Vigili del fuoco. Sono stati disposti alcuni container dei Carabinieri attorno al campo sportivo, ma non sono operativi. Dovrebbero servire a ospitare chi gestisce la ricostruzione del luogo. “Per molti questo è un bivio. Dobbiamo prendere una decisione. Capire se abbandonare la montagna o restare” racconta Sante. “Vivere in montagna, per le nostre piccole comunità, ha sempre comportato sacrificio, fatica, isolamento. Anche io sono combattuto, ci continuo a pensare. Mi chiedo se non debba lasciare Colle, la mia frazione, e andare a Roma dove vive la mia ragazza”.
Anche il cimitero alle porte di Pescara è sconvolto. Gli spasmi tellurici hanno scoperchiato e rovesciato alcune lapidi dai loculi. Si vedono le vecchie bare di legno tornate a prendere la luce e l’aria del giorno, finché qualcuno non le riconsegni, per la seconda volta, alla propria pace. La frontiera tra il fuori e il dentro, tra l’intimità e il mondo a cielo aperto è sconvolta anche a guardare dentro i ruderi delle case. Dove si intravedono stanza devastate coi mobili cadenti e brandelli di quotidianità coperti dalla polvere. Non c’è più equilibrio e occorrerà una lunga ricostruzione, anche nell’animo delle persone, per fronteggiare questo caos.
Marco Benedettelli
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