LE PICCOLE GRANDI COSE DEL SERVIZIO CIVILE
E col tempo impari a seguirlo quel ritmo, rassegnandoti all’idea che le cose non andranno mai come le avevi programmate e che, anche facendo uno schema di tutti i possibili scenari, la realtà corrisponderà proprio a ciò che mai avresti potuto immaginare. Come si racconta un Paese come la Tanzania? Me lo sto domandando con insistenza. E adesso che sono tornata, mi ritrovo a raccontarlo (e a raccontarmelo) nelle piccole cose.
Tirare le somme dopo un anno di Servizio Civile non è semplice. A chi mi chiede come io mi senta, ora che sono giunta alla fine di questa esperienza lunga e intensa, rispondo di non saper realmente rispondere. Ma forse è la Tanzania a fare questo effetto: ti lascia senza parole.
Fin dal primo istante in cui ho messo piede nella terra degli Swahili, è stato amore a prima vista. Non è semplice raccontare tutte le sfumature di un viaggio che sembra essere durato tutta una vita (e non lo dico solo perché, per problemi tecnici, i voli di andata sono durati complessivamente circa 31 ore!).
La Tanzania segue un suo ritmo. Un occidentale direbbe che bisogna avere pazienza quando lì le cose richiedono tempi apparentemente infiniti, quando la signora che ti sta vendendo la frutta al mercato si prende tutto il tempo del mondo per imbustare 1 kg (o, in Swahili, 1 litro) di pomodori, quando devi dedicare i primi 10 minuti di una conversazione a convenevoli interminabili (Come stai? Come sta la tua famiglia? Come va al lavoro? E la salute? E i bambini? E stamattina come stavi? E adesso? Sei qua? Sei in forma? Sei fresh? Sei cool?).
Racconto della Tanzania quando vedo i bidoni della differenziata e mi torna in mente l’odore di plastica bruciata in mezzo alla strada. O quando noto una bottiglia di vetro vuota abbandonata su un muretto e penso che in Tanzania, col vuoto a rendere, i proprietari del bar avrebbero rincorso l’acquirente per chilometri. O ancora, quando cammino nel centro della mia città e mi sento un’estranea, senza essere circondata dal calore dei mille saluti degli estranei incrociati per caso.
L’anno che è appena trascorso si nasconde tra le pieghe della mia quotidianità. Una quotidianità fatta di paragoni, dubbi, pregiudizi, tutti demoliti e ricostruiti dieci, cento, mille volte, per poi arrivare, in un giorno qualunque, a non farci più caso, a non dare e a non darmi più alcun peso. E in quel momento, qualunque esso sia stato esattamente, mi sono ri-trovata, senza aver mai saputo di essermi persa.
In un anno di Servizio Civile, ho osservato con i miei occhi la forza di tante donne diverse e il coraggio di mettercela tutta, senza guardarsi mai indietro. Ho toccato con mano cosa significhi la parola “solidarietà” guardando il mondo attraverso gli occhi di lavoratrici instancabili che lottano le une per le altre, prima ancora che per sé stesse. E tutto questo è stato, senza ombra di dubbio, il dono più grande che potessi mai ricevere. È a queste donne che devo dire grazie. Da Stefania, Rappresentante Paese di CVM in Tanzania, guida e faro sul lavoro e nella vita di tutti i giorni; passando per Asteria, rappresentante del sindacato nazionale CHODAWU, fonte di ispirazione per la sua inarrestabile tenacia; giungendo, poi, a ogni singola lavoratrice domestica che ho avuto l’onore e il privilegio di incontrare lungo il percorso.
Non so dire cosa io abbia lasciato in Tanzania, se non il mio cuore; ma sento, nello spirito, ciò che la Tanzania ha lasciato a me: un qualcosa che ha una sua forma e a cui non so dare un nome, ma che somiglia tanto ad una immensa lezione di vita.
Alessandra Pulzella
Civilista CVM 2021-2022