Recruitment: L’identificazione delle lavoratrici domestiche
CVM porta avanti in Tanzania diverse attività (e.g. training, supporto alle associazioni di lavoratrici domestiche, organizzazione di conferenze nazionali e task force per spingere verso la ratifica della Convenzione ILO 189) ma tra queste spicca quella del recruitment.
Sicuramente abbiamo già raccontato di questa attività ma con questo articolo vorremmo spiegare meglio come viene attuata e condividere quelli che sono i retroscena.
Per recruitment si intende il processo di identificazione delle lavoratrici domestiche sul territorio tanzaniano. L’identificazione delle domestiche è essenziale per comprendere la loro presenza sul territorio, collegarle alla rete del sindacato (CHODAWU) e alle associazioni presenti per tutelare i loro diritti di lavoratrici domestiche.
L’identificazione delle lavoratrici avviene tramite un censimento delle stesse: ovvero il personale CVM in Tanzania, con il supporto di varie figure locali come i CJF (community justice facilitator), leader locali e membri delle associazioni di lavoratrici domestiche, identificano le abitazioni dove sono presenti lavoratrici domestiche.
Per quanto possa sembrare un’attività relativamente semplice, incontriamo diversi ostacoli che rappresentano anche quella che è l’effettiva condizione lavorativa delle lavoratrici domestiche.
Molto spesso troviamo nel ruolo di domestiche delle bambine, di solito tra gli 8 e 16 anni di età. La maggior parte di loro non ha educazione scolastica perché costrette a lasciare gli studi per supportate economicamente la propria famiglia. Ciò che le rende ancora più vulnerabili oltre la loro età, è che sono lontane da casa, sole e in un contesto a loro non famigliare (infatti migrano internamente da regioni e/o luoghi rurali a centri urbani).
Come mai i datori di lavoro preferiscono assumere delle bambine?
Perché così riescono a manipolarle più facilmente, possono pagarle di meno perché ignare dei loro diritti e timorose di imporsi, possono essere più facilmente punite fisicamente oltre che verbalmente. Durante l’identificazione, solitamente hanno paura ad ammettere di essere domestiche.
Si rifiutano di parlare anche in assenza del datore di lavoro e non rilasciano informazioni senza prima ricevere la sua approvazione, riflettendo la condizione di terrore con cui vivono e lavorano giornalmente. I datori di lavoro sapendo di agire contro la legge (in Tanzania il lavoro di lavoratrici domestiche è vietato sotto i 18anni) e sono i primi a non ammettere che la bambina lavora per loro e dicono che è una famigliare.
Accade che l’intera comunità li protegga e neghi che la minore sia una domestica. In questo modo i datori di lavoro si supportano a vicenda.
Il fingere che la domestica non sia tale è molto comune anche nei casi in cui questa è maggiorenne. Solitamente affermano che la ragazza sia un parente alla lontana che ospitano. Così possono giustificare il fatto che non venga pagata e che non riceva giorni di riposo. Una volta, ad un facilitatore CVM è stata buttata dell’acqua addosso per allontanarlo quando ha chiesto se ci fosse una lavoratrice domestica in casa.
Molto spesso, in modo rude o semplicemente ignorando la nostra presenza non rispondono e ti fanno comprendere di dover andar via. Ci sono casi in cui le domestiche vengono denigrate ed etichettate come “disabili” o “mentalmente instabili” per giustificare risposte in contrasto a quelle del datore di lavoro, o semplicemente per legittimare il silenzio delle domestiche che in realtà non parlano per timore.
In conclusione, l’identificazione è un’attività complicata e delicata che riflette anche la sua importanza. Identificare le lavoratrici per renderle consapevoli dei loro diritti, collegarle al sindacato e alle associazioni è essenziale.
Chiara Pappagallo e Elisa Pozzato
Volontarie in Servizio Civile Universale
CVM Tanzania