“Siamo trattate come schiave. Ma unite possiamo farcela”. Il racconto di Emmebet, di ritorno dal meeting delle domestiche.
Dopo una notte in bianco in aereo Emmebet si presenta in ufficio ad Addis Abeba con gli occhi stanchi ma pieni di luce e con un grande sorriso. Il workshop a Dar es Salaam è stato intenso e ha permesso a più di 25 domestic workers, (lavoratrici domestiche) provenienti da Kenya, Etiopia, Uganda, Zanzibar e Tanzania di confrontarsi direttamente e di scambiarsi esperienze di vita e di lavoro.
Emmebet è molto contenta dei tre giorni passati in Tanzania ed inizia a raccontare. Per rompere il ghiaccio ogni ragazza si è presentata, specificando il paese di appartenenza, l’età e raccontando qualcosa di sé. Testimonianze di domestic workers provenienti da numerosi paesi africani hanno portato alla luce un grave problema: quello delle migrazioni illegali verso i paesi arabi quali per esempio Arabia Saudita e Dubai. Accordi segreti tra agenzie dei rispettivi paesi scavalcano impunemente gli accordi governativi che dovrebbero tutelare lo spostamento delle ragazze lavoratrici. Emmebet racconta commossa che moltissime ragazze africane sono state attirate con l’inganno verso lavori fittizi mai ottenuti, trasportate per mare illegalmente con barconi poco sicuri e, una volta arrivate a destinazione, costrette alla prostituzione. Molte di loro, dopo essersi ribellate ai loro aguzzini, sono state poi uccise o, nel migliore dei casi, imprigionate.
Emmebet racconta che il commercio d’organi, nello specifico di reni, è un altro problema portato alla luce dalle testimonianze. I trasferimenti illegali riguardano principalmente ragazze non educate che cadono più facilmente in questa pericolosa trappola e diventano vittime di abusi e maltrattamenti. Alcune ragazze testimoniano che loro amiche sono state costrette a lavorare gratuitamente, senza vitto e senza alloggio. Finite successivamente in ospedale per malnutrizione, sono state poi allontanate dal posto di lavoro e di loro si è persa qualunque traccia.
Ora la situazione sembra essere migliorata, i governi dei paesi africani si stanno impegnando per combattere questo traffico di ragazze e vengono applicati maggiori controlli: le domestic workers che vogliono spostarsi per lavorare in un altro paese devono aver concluso almeno due anni della scuola media-superiore e devono avere un livello minimo di conoscenza della lingua del paese di arrivo.
Emmebet continua a raccontare quello che ha imparato, vuole mettere in guardia le sue colleghe etiopi perché fatti del genere non succedano più. Ha compreso quanto è pericoloso decidere di spostarsi per lavorare in un paese estero senza un’adeguata preparazione e soprattutto non affidandosi alle strutture governative di competenza.
Dopo un momento di pausa spalanca gli occhi ed esprime la sua gioia nell’aver passato del tempo in Tanzania, un paese a lei sconosciuto, ma soprattutto nell’aver visto per la prima volta il mare. “Quando ho visto quanto è grande il mare e quanto è bello, con le onde che si muovono forti, mi sono sentita dentro così tanto felice!”.
Dal 1994 CVM si occupa di progetti di prevenzione e controllo dell’HIV/AIDS in Amhara, regione nel nord dell’Etiopia, dove si registra la maggior incidenza del virus dell’HIV di tutto il paese. Tra i soggetti maggiormente vulnerabili vi sono le domestiche, ragazze che fin da giovanissime si spostano dalle zone rurali ai villaggi vicini per trovare un impiego nelle case delle famiglie più abbienti. La loro mancanza di educazione e le condizioni quasi servili lavorative che subiscono le portano spesso ad essere vittime di abusi. CVM sostiene le associazioni locali di donne che lavorano come bariste o domestiche organizzando corsi di formazione sui loro diritti e sulle malattie sessualmente trasmissibili e promuovendo lo sviluppo di attività economiche attraverso la redistribuzione del micro credito.
aila Anton