Donne contro il silenzio e gli abusi| Il racconto di Valentina sui comitati per i diritti umani in Tanzania.
Nel 2015, in Tanzania, grazie al lavoro del CVM, sono stati formati 106 Facilitatori di Giustizia, 284 attivisti dei Comitati per i diritti delle donne e dei bambini, 153 rappresentanti delle Corti di ward. Solo quest’anno, a Bagamoyo, sono stati 359 i casi di abusi su donne e ragazze che le vittime hanno riportato ai facilitatori di giustizia e 76 i casi denunciati ai Comitati per i diritti.
Questi numeri, che fanno paura, per noi rappresentano paradossalmente un risultato: sempre più donne nel distretto di Bagamoyo hanno il coraggio di rompere il silenzio e denunciare i propri persecutori, fiduciose che ora le cose possano cambiare.
Per dare una testimonianza sul nostro lavoro, su quel che facciamo, su quali siano le dinamiche che in quella parte della Tanzania portano le donne alla esclusione e alla persecuzione, voglio riportate alcune righe (già pubblicate sulla rivista CVM Flash di novembre 2015) su quanto visto da vicino nella ward di Msoga, al ritorno da una missione con Jacinta Whelan di APA e con Giacomo e Peace, rispettivamente Rappresentante Paese e Project Facilitator del CVM in Tanzania.
È il primo pomeriggio di una calda giornata infrasettimanale. I membri del Comitato per i Diritti delle Donne e dei Bambini ci aspettano nella scuola di Msoba. È uno dei tanti comitati costituiti nel quadro del progetto del CVM ed APA in Tanzania, con lo scopo di promuovere strutture comunitarie di difesa dei diritti umani e di coinvolgere e coordinare le istituzioni locali per un’azione più decisiva nel contrasto agli abusi e alle violazioni verso donne e bambini.
Maristella ed Helen ci invitano ad entrare in un’aula dove dieci membri del comitato ci aspettano già, seduti sui banchi di legno. Al momento della Costituzione del comitato, nel 2013, si sono impegnati a dare voce ai più vulnerabili. “Siamo il comitato di Msoba, e il nostro compito è quello di proteggere i diritti delle donne e dei bambini di questo villaggio attraverso la sensibilizzazione delle comunità – spiega uno dei membri – All’inizio era difficile, le persone avevano paura. Ma oggi siamo conosciuti, e la gente viene spontaneamente. Abbiamo raggiunto una cinquantina di casi, alcuni hanno richiesto il coinvolgimento della polizia”.
La domanda successiva arriva veloce. “Quali sono i casi più comuni che vi trovate ad affrontare?”. Ci rispondono: “Sono i casi di abbandono scolastico e quelli di violenza sulle donne. Molti bambini lasciano la scuola perché i genitori non hanno denaro per coprire i costi di libri e quaderni. Allora, discutendo con le scuole, qualche soluzione si trova. Ma per le bambine è tutto più difficile. La povertà spesso si mescola alla cultura tradizionale”.
Inizia allora una discussione in cui gli uomini membri del comitato sembrano meno timidi nel menzionare i “riti di iniziazione” come una delle cause di abbandono della scuola. È quello un mondo tutto al femminile, da dove gli uomini sono esclusi, ma che sancisce il passaggio della bambina al mondo delle adulte e al periodo matrimoniale. Un signore baffuto afferma che, dopo i riti, le bambine “non sono più le stesse, e a scuola non ci tornano più. Il mese scorso una bambina di 11 anni non è più venuta in classe perché ha seguito il ‘fidanzato’. Il caso è stato portato alla polizia, e lei è potuta rientrare nella sua famiglia e tornare a scuola. Ma i suoi genitori non hanno voluto continuare le indagini…”
Un’altra bambina di 10 anni, è stata trovata a lavorare in un bar del villaggio. Lavorare nei bar non significa soltanto fare la cameriera, che a quell’età è già di per sé un abuso. Le donne che lavorano nei bar sono quelle che servono alcolici a clienti che, dopo un certo numero di bicchieri, non si accontentano soltanto di pagare il conto. I casi scorrono, uno dopo l’altro, duri al cuore e all’orecchio. Ma l’ammirazione per questo gruppo di volontari cresce. Ci riferiscono che la formazione del CVM è stata importantissima, eppure c’è ancora tanto da fare. Nella durezza dei racconti, la gioia della speranza prevale. Si percepisce che quel motore primo, avviato due anni fa, ora sta andando avanti da solo.
Cooperazione vuol dire questo: mettere in moto processi, agire da catalizzatori di energie nascoste, credere nelle donne e negli uomini e nella loro capacità, e fare tornare la speranza.
Valentina Palumbo