Una formazione…informale!
“Ho cominciato la conoscenza-formazione con Bagea, l’associazione locale che si occupa di diritto allo studio e al lavoro per le ragazze del distretto di Bagamoyo con cui lavorerò in questi mesi. Da programma era prevista un’intensa formazione su storia, economia, usi e costumi della città, più tutta una parte sull’associazione e sul lavoro che svolge, progetti, beneficiari, modo di lavoro..Naturalmente la formazione non ha seguito troppo i rigidi schemi occidentali…Solo una delle colleghe, Neema, parla bene inglese. Le altre 3 praticamente solo swahili. E già questo complicava le cose..É stata una settimana buffa.. Una settimana in ufficio ad ascoltare spesso senza capire, ascoltarle discutere e argomentare anche solo su chi debba farmi una particolare parte di formazione. Una settimana passata ad essere “coccolata” dalle colleghe che mi facevano assaggiare dolcetti e stuzzichini locali, dicendo che avendo la responsabilità su di me si devono preoccupare del mio benessere. Una settimana passata a conoscere molte delle beneficiarie dei progetti direttamente, vedendole entrare in ufficio e sedersi e parlare con le colleghe. Una settimana passata a scoprire Bagamoyo con loro che mi raccontano e mi mostrano quello che nessuna guida riporta o forse reputa importante. C’è la storia della colonizzazione tedesca, la prima presenza cristiana nell’Africa dell’est, la tratta degli schiavi che aveva in Bagamoyo l’imbarco per Zanzibar e poi per l’Oriente. Ma c’è anche il mercato del pesce, le spiagge, le conchiglie, i riti di passaggio tradizionali per ragazze e ragazzi, le attività economiche tipiche, la pesca, l’agricoltura. Tutto questo raccontato in una lingua che non so neanche io che cos’è. Le mie prime vere lezioni di swahili. Informali naturalmente. Il mio corso di lingua partirà più avanti, e nel frattempo le colleghe colmano la lacuna a modo loro. Per esempio per raccontarmi la storia e l’economia di Bagamoyo, la mia collega Chau ha adottato questa tecnica. Seduta davanti a me mi diceva una frase in inglese (o qualcosa di simile), sillabando e scandendo ogni parola, e poi me la ripetava a velocità razzo (cioè normale per lei ma non per me) in swahili. Poi mi guardava e diceva “Hai capito?”. Non capivo una parola, un po’ per l’accento inglese, un po’ per il mix di lingue, un po’ perchè per arrivare a capire che la sua era una strategia premeditata ci ho messo un po’. Nel frattempo le colleghe la correggevano in swahili per il suo inglese. Il delirio. All’inzio volevo piangere. Poi ad un certo punto mi sono resa conto di quanto fosse paradossale la situazione, per me certo, ma anche per loro che poverette si trovano a spiegare la loro storia ad un’estranea in una lingua diversa. E siamo scoppiate tutte a ridere. Lei, io, le colleghe. E credo oltrettutto che il metodo non sia stato del tutto inutile. In quella giornata ho imparato un sacco di parole. Comincio piano piano a riconoscere parole e espressioni nelle frasi che sento. Mi lancio in saluti di cortesia per poi rimanere instupidita quando loro rispondono al saluto porgendomene altri che necessiterebbero di un ulteriore passaggio. Ma non c’è problema. Dicono che tra un po’ di tempo riuscirò a parlare swahili, soprattutto se continuo a provare a parlare, senza timore di sbagliare, (leggi “fare figuracce”). Come sempre, ho messo da parte per il momento i miei sogni di gloria su lavoro e affini. Faccio umilmente un passo indietro e mi limito ad ascoltare e guardare. Va bene cosi.
Ed è quello che ho fatto anche al primo workshop di formazione con le comunità di base a cui ho assistito ieri e oggi. Un workshop sui diritti dei bambini e delle donne e le violenze di genere, nel quadro dei progetti del CVM per la promozione e la protezione dei diritti dei gruppi marginalizzati.
I partecipanti sono persone che a vario livello hanno un ruolo sociale importante nelle comunità: giudici di villaggio, donne influenti, persone che a titolo volontario si offrono di sensibiizzare/ascoltare/offire un sostegno nei proprio villaggi su queste tematiche. Il worshop era in swahili. Ho partecipato con Emmanuel, il facilitatore del CVM che mi spiegava i temi, i dibattiti, le risoluzioni. Confesso, è stato bello e intenso assistervi. Pur non capendo praticamente niente è stato bello vederli mettersi insieme, discutere sulla nozione di diritto del bambino e della donna, in generale e nei loro villaggi, vederli citare casi concreti, riflettere insieme, uomini e donne, anche alzando la voce (non riesco a capire se per stizza o semplicemente come modo di fare…)..
Sono appena tornata a casa. Nonostante i dubbi e le paure che ci sono stati in questa settimana, le immagini di oggi mi fanno sorridere. Avanti tutta”.
Valentina, Bagamoyo