Una vita, una storia
Arrivato all’Università di Macerata da Taranto, da un Sud povero e degradato portavo con me un sentimento di giustizia, un anelito di cambiamento che trovava in quegli anni 60 rispondenza con un clima culturale che segnava una primavera di pensiero. Li hanno chiamati gli anni della contestazione studentesca, ma in realtà erano gli anni delle grandi speranze, dei grandi ideali e tra noi giovani circolava la convinzione che dovevamo essere protagonisti di un nuovo percorso storico.
Prendersi cura dei problemi sociali era un modo per dare un senso alla vita e così fui affascinato dalla proposta del CVM (allora Centro Volontari Marchigiani), anche perché nel frattempo avevo conosciuto Giovanna, che sarebbe diventata la donna della mia vita. Lei e il fratello Pino visitavano i carcerati, frequentavano i laboratori protetti, militavano per l’obiezione di coscienza e, assieme ai loro amici, dettero vita in uno scantinato di via Santo Stefano alla prima ONG di cooperazione Internazionale delle Marche. Considerato il giurista del gruppo, ebbi l’incarico di stilare lo statuto che doveva evidenziare la duplice missione del CVM: da un alto la volontà di camminare con i popoli più poveri del mondo e dall’altro di essere coscienza critica del Nord denunciando il male di un neo-colonialismo avallato dalla cultura dell’egoismo.
Il rinnovamento etico era alla base di un autentico risanamento di una governance internazionale vincolata ancora agli interessi di parte di un mondo occidentale incapace di liberarsi dalle proprie colpe, nonostante gli esiti della follia nazista e della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki. Fu così che iniziai a viaggiare in Africa e in Asia e ad accumulare nel mio cuore ricordi indelebili, che hanno segnato la mia vita. Non sono stato un volontario CVM all’estero, non ho svolto mai un servizio duraturo, ma ho visitato le sedi CVM in Etiopia, Tanzania, Zaire, Zambia. E ho anche visto la miseria del Bangladesh e dell’India. Ricordo di essere stato in un cronicario, dove Maria Teresa di Calcutta mise me e Attilio ad assistere i malati moribondi, a dimostrazione che la carità non si alimenta di parole, ma di fatti …
E come dimenticare tanti episodi di profonda miseria ma al tempo stesso di grande dignità umana. Ad Addis Abeba ho incontrato un uomo, un padre che stava per vendere una figlia. A una prima lettura dei fatti ho avuto un atteggiamento di condanna per quest’uomo; ma poi sono riuscito a mettermi nei suoi panni. Quando capisci le ragioni degli altri, scopri una verità più profonda che va oltre le apparenze. L’uomo era in condizioni miserrime e cercava di salvare gli altri componenti della famiglia con il ricavato della vendita della figlia. È bastato che il CVM comprasse una mucca e alcune galline per risolvere la situazione. Il vecchio padre all’atto della donazione ci ha accolto nel suo tukul e per tre ore ha cantato in nostro onore …. In quella capanna buia, sporca, senza alcun mobile o suppellettile, ho scoperto il senso vero della fraterna gratitudine. Un’altra volta a Bahir Dar, una città nord orientale dell’Etiopia, ho conosciuto una donna malata di AIDS che, grazie a una terapia anti-HIV somministrata dal nostro centro, faceva progetti per il futuro. In Tanzania a Manyoni in un dispensario ho avuto l’avventura assieme a Laura Mengo di curare tre gemellini che stavano morendo di fame …. Accudirli giorno dopo giorno e vederli riprendersi è stato un dono meraviglioso, che mi ha colmato di gioia e ha dato senso alla mia visita in Africa.
E agli eventi si aggiungono i volti… Loris, il maestro sardo che malato di cuore volle ardentemente chiudere in Africa la sua vita di maestro: il suo corpo, per volontà della gente di Kampene, è rimasto lì nella terra africana, con quei fratelli che lo avevano accompagnato nell’ultimo tratto della sua breve vita. E Pino, che durante la carestia in Etiopia s’ingegnava a diventare cuoco e organizzava cucine da campo improvvisate per cercare in qualche modo di superare le difficoltà del momento. Poi, stanco, si rinfrescava nel fiume melmoso, dove prese la brucellosi che lo sfiancò per mesi con una febbriciattola costante ….
Con il CVM ho anche vissuto il sogno di ricostruire una Comunità, quella di Salam Bet, aperta a tutti i volontari rientrati. Pino pensava al modello delle prime comunità cristiane in cui tutto si metteva in comune per poi distribuirlo secondo i bisogni. Sogni, speranze, delusioni …. Eppure ci siamo sentiti parte di una grande idea: la vita è un dono che va restituito.
Oggi siamo in un’altra fase in cui il Volontariato subisce pesanti contraccolpi per il prevalere di logiche concorrenziali … Oggi non si può più pensare di dare il proprio tempo o la propria opera gratuitamente, perché per restare in piedi devi adottare logiche di mercato … eppure a me, così come a tutti quelli che hanno camminato con CVM, resta il testamento di Pino che nella sua casa aveva un manifesto con la scritta “Alla fine della vita ciò che conta è aver amato”.
Walter Farella