Una vita, una storia: Mihret Degalo Borsamo
“Mi chiamo Mihret Degalo Borsamo, ho 17 anni e sono nata nella regione SNNP, nella zona di Wolyait. Sono la prima di 6 figli, ho 2 sorelle e 3 fratelli. Mio padre è un agricoltore e mia madre è una commerciante, ma i loro guadagni sono piuttosto bassi. Come figlia maggiore, dopo la licenza media, ho sentito il dovere di prendermi cura dei miei fratelli e di sostenere i miei genitori, che contavano su di me.
Nella mia comunità è molto comune pensare che la migrazione sia l’unica soluzione per poter migliorare le proprie condizioni di vita. Per questo un giorno decisi di migrare in cerca di migliori opportunità per sostenere la mia famiglia. Contattammo un broker per ottenere il denaro che mi permettesse di intraprendere il viaggio, nonostante gli interessi fossero alti.
Ho iniziato il mio viaggio illegalmente verso il Sudan, assieme a un gruppo di altre persone, ma pensavo di transitare in Arabia Saudita. Usammo l’auto fino a Metema, per poi proseguire a piedi fino a Khartoum. Qui il broker fu rimpiazzato da un altro, che ci portò a casa sua per restare fino all’ottenimento del visto. Un brutto giorno quest’uomo mi chiamò con la scusa che era arrivato il mio visto. Inizialmente fui molto felice e mi sentii addirittura più fortunata degli altri. Presto però scoprii che le sue intenzioni erano altre. Mi violentò e mi picchiò e fu davvero traumatico.
Durante la gravidanza, lavorai come domestica, ma dovevo farlo gratis per ripagare il mio debito, anche perché il broker non aveva pagato la quota spettante al proprietario di casa. Ero in una situazione particolarmente stressante, così chiesi alla padrona di casa se poteva aiutarmi a gestire la gravidanza. Le chiesi di poter affidare il mio bambino a un centro di accoglienza dopo la nascita, ma mi disse che non era possibile perché “haram” (proibito) nella religione islamica e che avrei potuto solo dopo 7 mesi.
Passato quel periodo però il broker saldò il debito e mi fece tornare in Sudan. Diedi alla luce nostro figlio e rimasi a stare da lui perché non avevo nessun altro. Poi a causa del conflitto in Sudan lui mi rispedì in Etiopia con il bambino, sola e senza soldi.
Lo staff di CVM mi ha trovata e portata nel suo centro di accoglienza ed ora non voglio andare né a casa dei miei genitori, né a casa dei suoi perché non sanno del bambino, della situazione con il padre e soprattutto del fatto che non ho nulla per restituire i soldi chiesti in prestito dalla mia famiglia. Sono davvero molto confusa e non ho ancora deciso dove andare.