Aids, in Italia mille casi nel 2010. L’80% da rapporti sessuali
ROMA – Si apre oggi a Roma la Conferenza Internazionale sull’Aids. Il congresso, che durerà fino a mercoledì, mette a confronto seimila medici e studiosi di tutto il mondo, impegnati nel tentativo di scrivere una nuova pagina nella lotta alla malattia scoperta 30 anni fa. Il tema caldo di quest’anno è il diverso utilizzo dei farmaci antiretrovirali usati finora per la cura, ma da nuovi studi considerati decisivi come arma della prevenzione 1 per ridurre la diffusione del virus soprattutto nei Paesi in via di sviluppo.
“I risultati delle sperimentazioni cliniche condotte per anni e diffusi recentemente, dimostrano che la terapia funziona sempre più come prevenzione. E questa sarà l’idea portante della conferenza”, racconta Stefano Vella, virologo dell’Istituto superiore di sanità e fra gli organizzatori del convegno.
Nella sfida della ricerca restano da sciogliere ancora molti nodi, primo fra tutti quello dei fondi necessari per garantire l’accesso alle cure nel Sud del mondo. A questo proposito, a Roma non mancheranno le polemiche sul mancato finanziamento italiano 2 al Fondo Globale per la lotta all’Aids, la tubercolosi e la malaria. Il governo italiano non ha infatti versato i 130 milioni di dollari, più altri 30, promessi due anni fa nel G8 dell’Aquila.
I numeri italiani del virus. In occasione della Conferenza, il Centro Operativo Aids ha reso noti i dati aggiornati della situazione in Italia. Dal 1982, anno della prima diagnosi di aids in Italia, al 31 dicembre 2010, sono stati notificati 62.617 casi. Di questi Il 77,3 per cento erano di sesso maschile, l’1,2 per cento in età pediatrica o con infezione trasmessa da madre a figlio e l’8,5 per cento erano stranieri. Anche se di Aids si parla sempre meno, nel 2009 ci sono state ancora 2.588 diagnosi con un’incidenza pari a sei abitanti ogni 100mila. Mentre nel 2010 sono stati 1.079 i nuovi casi.
La concentrazione è maggiore al centro-nord rispetto al sud e alle isole. In particolare la più alta è stata registrata in Emilia Romagna, seguita da Lombardia e Lazio. Mentre la più bassa in Calabria. “Dati che inquadrano l’Italia – spiega l’Istituto Superiore di Sanità – fra i Paesi dell’Europa occidentale con un’incidenza di nuove diagnosi di hiv medio-alta”.
Ancora: aumenta l’età media al momento della diagnosi, passando da 26 anni per i maschi e 24 anni per le femmine nel 1985 a, rispettivamente, 39 e 36 anni nel 2009. Il risultato è che il 66,2 per cento del totale dei casi, si concentra nella fascia d’età 30-49 anni. In particolare è aumentata la quota di casi nella fascia d’età 40-49 anni. Non solo, cambiano anche le categorie di trasmissione: diminuiscono i tossicodipendenti (dal 74,6 per cento nel 1985 al 5,4 per cento nel 2009) e crescono i casi attribuibili a trasmissione sessuale (omosessuale ed eterosessuale) passati dal 7,8 per cento nel 1985 al 79 per cento nel 2009.
Gli stranieri con infezione da hiv sono aumentati dall’11 per cento del 1992 al 32,9 per cento del 2006, per poi diminuire negli anni seguenti fino al 2009, dove rappresentavano il 27,2 per cento. In pratica nel 2009 quasi una persona su tre, fra gli hiv positivi, è risultata di nazionalità straniera.
Diagnosi tardive e mortalità. Ancora, nel 2010 quasi il 60 per cento dei nuovi casi di aids ha scoperto di essere sieropositivo molto tardi, in concomitanza con la diagnosi di aids conclamato. “Questa proporzione – spiega l’Istituto Superiore di Sanità – è aumentata progressivamente negli ultimi 15 anni. Come conseguenza di queste diagnosi tardive, ben due terzi delle persone diagnosticate con aids dal 1996 a oggi non ha usufruito dei benefici delle terapie antiretrovirali prima di tale diagnosi”. I decessi, infine, ammontano a 39.344 pazienti (62,8 per cento) al 31 dicembre 2010. “Tuttavia – conclude l’Iss – è probabile che si tratta di un numero sottostimato, in modo particolare per gli ultimi anni, dal momento che la segnalazione di decesso al centro operativo anti aids non è obbligatoria”.
(LaRepubblica.it, 17/07/2011)